Il lutto ai tempi della tecnologia. Il ritorno di Piero Messina, primo italiano alla Berlinale

Another End” di Piero Messina è il primo italiano in concorso alla Berlinale. Un film dal respiro internazionale che immagina un mondo in cui è possibile impiantare la personalità di qualcuno in un altro corpo, superando la morte. Una conferma per cast e regista, ma la preparazione ai colpi di scena anestetizza troppo tutto il resto…

Manzoni ci ha insegnato che il senno di poi riempie le fosse, ma forse può anche svuotarle. A suo modo succede questo in Another End, il ritorno alla regia di Piero Messina dopo l’esordio con il pirandelliano L’attesa, nonché primo tra i due italiani in concorso a venir proiettato alla Berlinale 2024.

La distopia fa un effetto strano nella corsa all’Orso d’oro, spesso piena di titoli e autori critici con la realtà contemporanea, più che con un futuro immaginario. Il mondo immaginato dal film non si discosta poi tanto dal nostro, questo va detto, forse è solo un po’ più grigio. Al più accenna a un paio di nuove tecnologie per vedere film o ascoltare musica, ma col tripudio di visori delle ultime settimane anche questa eventualità non ci sembra irreale.

L’enorme differenza è il nocciolo della trama: una multinazionale ha brevettato la possibilità di impiantare nel corpo di una persona viva la personalità e i ricordi di qualcuno che è morto. Di conseguenza, a chi resta si può offrire la possibilità di un “tempo supplementare”, in cui dirsi quello che si è mancato di dire e trovare una nuova via per elaborare il lutto. È questa l’altra fine a cui allude il titolo, giocando con varie combinazioni. Del resto l’insostenibilità del lutto è centrale anche nel suo film d’esordio.

Messina ha un respiro internazionale, non a caso si è formato sui set di Sorrentino, dentro un modo di far cinema apprezzatissimo all’estero. Anche in questo film assembla un cast di prim’ordine: il messicano Gael García Bernal protagonista, con Bérénice Bejo a dargli manforte, attrice francoargentina da anni in tanti film d’autore europei, e la norvegese Renate Reinsve, che un paio d’anni fa stupì tutti con la sua interpretazione in La persona peggiore del mondodi Joachim Trier.

Lo sguardo emancipato dall’asfissiante panorama nazionale si vede soprattutto nella fabbricazione del mondo immaginario, sempre ben lontana da ogni macchiettismo. Another End evita anche e con cura l’eccesso di effetti speciali che molto spesso sovrabbonda nelle produzioni statunitensi. Messina trova insomma il giusto equilibrio tra film d’autore e mainstream e per buona parte del racconto si tiene su quel filo, senza lampi, agganciandosi unicamente alla trama come motore del film.

Solo sul finale, e forse troppo tardi, decolla davvero, in concomitanza con i colpi di scena nell’intreccio, come se la regia andasse di pari passo con la storia. Ce lo annuncia una sequenza di grande impatto in cui Reinsve si muove con una danza conturbante, costellata da luci laser verdognole. La corsa verso la fine diventa a quel punto una serie di tornanti narrativi, fino al ribaltamento totale.

Another End si annebbia insomma con un eccesso di sordina per preparare dei colpi di scena riusciti, sì, ma pur sempre tardivi. L’idea alla base del film era gravida di interessanti questioni, dal lutto ai tempi della tecnologia avanzata fino all’importanza (cruciale o scarsa) del corpo delle persone che amiamo, ma rimangono tutti inesplorati.

Sia Messina che il suo cast confermano i loro talenti, per il primo non solo cinematografici ma anche musicali, avendo firmato parte della colonna sonora. Proprio in virtù di questi talenti viene da chiedersi se in un eccesso di preparazione non abbiano finito per compromettere il risultato.