“Il mio film su Simone Weil rimasto nel cassetto”. Il cinema della fraternitas di Liliana Cavani

Nell’ottantesimo anniversario della scomparsa di Simone Weil e della imminente presentazione a Venezia di “L’ordine del tempo”, l’ultimo film di Liliana Cavani, pubblichiamo un’intervista alla grande autrice a partire dal suo progetto di film mai realizzato sulla filosofa-operaia francese. Una rifessione sui temi della cultura, della scienza, della politica e della mistica, attraverso il filo rosso della fraternitas che lega insieme molti suoi titoli. L’intervista sollecitata dall’American Weil Society sarà pubblicata in ottobre sulla rivista americana Attention

Liliana Cavani è attesa a giorni alla Mostra di Venezia non solo per ricevere il Leone d’oro alla carriera, ma anche per presentare il suo ultimo film: L’ordine del tempo, liberamente ispirato all’omonimo libro del fisico Carlo Rovelli. Un’occasione per tornare indietro nel “suo” tempo, quello di un’autrice determinante del cinema europeo e dialogare intorno ai temi della cultura, della scienza, della politica e della spiritualità, partendo da un film mai realizzato: quello su Simone Weil, filosofa francese straordinaria che nei primi del ‘900 sposa la causa dei lavoratori (tra il ‘34 e il ‘35 è operaia in fabbrica) e l’opposizione a ogni tipo di totalitarismo (nel ‘36 è sul fronte spagnolo contro Franco) intrecciando la critica sociale a una sorta di platonismo mistico, l’amore per la Grecia antica e l’Oriente.

Dell’idea di questo film rimane la sceneggiatura scritta a quattro mani con Italo Moscati e pubblicata da Einaudi col titolo Lettere dall’interno. Il volume usciva nel 1974, lo stesso anno in cui un altro suo film, sempre in collaborazione con Italo Moscati, usciva nelle sale italiane: Milarepa dedicato al poeta e maestro buddista. Anch’esso un biopic sulla vita di un uomo straordinario, come quello sulla vita di Francesco d’Assisi uscito nel 1966 (e gli altri due sempre sul mistico umbro del 1989 e 2014). Il nome di Simone Weil tra Francesco e Milarepa, dunque, non sorprende. Anzi evidenzia un filo rosso incentrato su figure caratterizzate da una coincidenza estrema tra pensiero spirituale e vita vissuta. Figure, per dirla con Elsa Morante di “Felici-Pochi”, tra i quali Weil, secondo la scrittrice romana, rappresenta “l ‘intelligenza della santità”.

L’idea di un film “mancato” su Simone Weil non può che rammaricare. Come mai il progetto non è andato in porto, mentre avete realizzato quello su Milarepa?

“Non ho trovato un produttore che fosse interessato a quel progetto. È stato in giro qualche tempo inutilmente. Per fortuna ho avuto la possibilità di realizzare Il portiere di notte. Ha avuto così tanto successo che con la stessa produzione, la Lotarf film, ho potuto girare Milarepa“.

Nel volumetto, lei e Moscati avvertite che il film doveva farsi nel 1971. Nella quarta di copertina si parla “del film più urgente da fare” per capire la crisi ideologica di quegli anni. Qual era l’obiettivo primario nel realizzare un film su Simone Weil?

“Purtroppo, fare cinema non è come scrivere libri. Il cinema ha un aspetto anche economico di rilievo. La Rai ha partecipato al film Milarepa ma non a quello su Simone Weil. Mi dissero che la filosofa francese era conosciuta da pochi. Anche Milarepa era sconosciuto in Italia, ma stranamente e fortunatamente il funzionario Rai aveva sentito parlare del poeta tibetano e maestro buddista. Il fatto è che con Simone Weil si affrontano temi culturali e sociali importantissimi tuttora attuali. Curiosamente nella penultima Biennale Arte di Venezia un artista aveva esposto il libro che facemmo su Simone Weil come fosse un’opera d’arte. A suo modo aveva un senso che io interpretai come “Il sogno di un film da fare”. Chissà che non diventi realtà”.

Prima ho citato Elsa Morante, la passione della scrittrice romana per Milarepa è nota, per non parlare di quella per Weil. Che ruolo ha giocato Morante nella sua scrittura del film sul poeta tibetano e la sceneggiatura su Weil?

“Avevo una frequentazione sporadica con Elsa Morante. È capitato che ci fossimo viste a casa sua con Pasolini quando lei pensava alle musiche per un suo film o quando capitavo nel ristorante dove lei andava di solito e mi faceva un cenno perché mi sedessi al suo tavolo. E si parlava di cinema naturalmente. A lei piacque Milarepa, me lo aveva suggerito come lettura e devo dire che è una lettura benefica”.

Cosa l’ha attratta dell’opera di Simone Weil? E qual è, secondo lei, la difficoltà più grande nel raccontarne la vita e il pensiero?

“Ho letto vari suoi libri, mi interessava la sua visione politica, il socialismo ideale che in qualche modo ha la radice nella Fraternitas francescana. Non a caso nel progetto delle Rivoluzione francese: Fraternité. Ho realizzato tre film su Francesco d’Assisi. Simone Weil andò ad Assisi… penso si sia riconosciuta a buon diritto come sorella. Lei ha vissuto in modo non troppo diverso da Francesco. La Fraternitas per loro è un fatto non solo serio: è la convinzione che sia la chiave di lettura del Creato… e soltanto in questa visione potremo salvarci da una visione politica tanto immatura come quella del nostro contemporaneo”.

Nella sceneggiatura, nella scena in cui Weil decide di lavorare in fabbrica, la filosofa viene accusata di ipocrisia e di sentimentalismo. Secondo lei, ci si può veramente mettere nei panni dell’operaia come ha fatto Weil?

“Difficile dire con chiarezza. Ecco, le Clarisse, sulle quali ho realizzato anni fa un documentario, quando cambiano la loro vita per la scelta fatta non sono sorprese di cambiare modo di vestirsi, di mangiare, di vivere. Simone Weil ha vissuto come la pioniera di un modo di essere possibile, come una suora laica di una visione possibile, la sua. Ha vissuto secondo le regole del suo personalissimo convento, come lei voleva, come non si sentiva a disagio, come si sentiva “sorella” di tante persone e, in quel momento in fabbrica, come le operaie. E credo che dopo quella esperienza si sia sempre vestita con molta semplicità. La Fraternitas è condivisione”.

Sempre nel libro lei e Moscati definite Weil come “una giovane donna che tenta di far coincidere le idee con l’azione”, che cerca di capire la realtà “senza sogni” “dall’interno” del male del suo tempo (ossia gli anni ’30, primi anni ’40). Il film era stato però pensato per un pubblico degli anni ’70. Pensa che “i sogni” di ieri siano diversi da quelli di oggi?

“Penso che i sogni siano sempre quelli. La tecnologia ha cambiato tante cose della nostra vita, ma non ha cambiato la nostra “solitudine” malgrado tanti progressi. La condivisione, la Fraternitas sono i soli progetti che riguardano la nostra possibile felicità, le altre conquiste, molte utilissime, ci hanno uniti di più malgrado siamo in tanti di più (grazie ai libri, alle TV, al cinema, alla letteratura ). Solo insistendo di più sulla valore della Fraternitas possiamo parlare di Progresso. Il progresso scientifico spesso utilissimo, in altri casi produce armi terrificanti, che la cultura corrente deve maggiormente condannare come inumane e inaccettabili, opera di folli e balordi”.

Nel suo diario di fabbrica, Weil nota come lo sradicamento dalla cultura, spesso risultato della mancata uguaglianza nell’accesso all’istruzione, sia davvero drammatico per l’individuo. Che cose ne pensa dell’idea weiliana che essere radicati nella bellezza, grazie allo studio e alla cultura, sia un bisogno dell’essere umano? C’è posto per la bellezza nell’educazione di oggi?

“Il posto della bellezza c’è sempre. Ma bisogna intendersi perché attraverso la pubblicità siamo immersi sempre di più nella propaganda del mercato e in questo più cultura e una scuola adeguata potrebbero aiutare molto. Simone Weil quando decise di andare in fabbrica comprese che quello era il vero e solo passo da fare, essere insieme per capire che cosa è la persona umana. Ha fatto senza saperlo quello che ha fatto Francesco d’Assisi. Il quale ha partecipato a una guerra violenta, è stato in prigione in mezzo al degrado e si è detto: è questo il destino degli umani? Uscito dalla prigione è ripartito da zero: quale è la via? Si convinse così che l’unica via è la pace e che tutto è Fraternitas: il Cantico delle Creature è anche un testo scientifico: tutto il creato è fatto della stessa materia, siamo fratelli e dunque perché ci ammazziamo?”

È molto bella la scena che avrebbe aperto il film, in cui Weil professoressa detta una frase sulla logica del potere a uno studente. Il ragazzo la scrive alla lavagna senza sapere cosa ha scritto e Weil ne presenta l’esempio alla classe: “ha prestato semplicemente la sua mano e la sua tecnica. Ha assorbito un’idea, non l’ha cercata. Può essere un’idea giusta. Può essere un’idea sbagliata. Quante altre idee sbagliate, preconcetti, luoghi comuni, assorbiamo sotto dettato o respiriamo nell’aria?” Gli anni ’30 in cui Weil insegnava erano anni di totalitarismi. Cosa ne pensa dell’aria che respiriamo oggi e quali difese abbiamo?

“Per rispondere ripeto quello che ho detto sopra. Dante Alighieri parla di Francesco nella Divina Commedia, gli dedica quasi un intero canto, se non sbaglio il 17°. Ci sono persone che hanno trovato la risposta alle nostre domande fondamentali: io scelgo Dante e Francesco. Penso che la cultura possa fare molto per impedire il trionfo della Stupidità e dell’Arroganza. Il concetto di Fraternitas dovrebbe essere il concetto base di ogni ricerca perché solo in questo modo potremo impedire lo sviluppo della tecnologia criminale delle armi. E sempre la Fraternitas dovrebbe farci capire che i “nemici” siamo noi quando ci facciamo guidare dalla prepotenza e dalla vanità, che sono le vere armi della stupidità che troppo spesso governa il mondo”.

Per concludere, lei e Moscati parlate, e giustamente, di “un film che si poteva e si può ancora fare”. Dunque, lo realizzerebbe oggi?

“Non credo che tornerò su progetti del passato a motivo di una legge interiore che mi spinge altrove. Ho terminato L’ordine del tempo che nasce dalla lettura di un libro del fisico Carlo Rovelli. Nel film si parla dei molti significati della vita”. Quelli che Liliana Cavani, oggi splendida 90enne, non ha mai smesso di cercare anche attraverso il suo cinema.