Liliana Cavani, leonessa ribelle contro l’ordine del tempo. Alla Mostra con Carlo Rovelli

L’ordine del tempo” arriva fuori concorso a Venezia 80, a supporto della sua regista, Liliana Cavani, premiata col Leone d’oro alla carriera. Un film che prova ad adattare l’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli, trasportandolo nella casa al mare di un gruppo di amici altoborghesi. Un tentativo audace e non del tutto riuscito, ma che certo non mette in dubbio la carriera di una grande autrice del cinema italiano, dal respiro internazionale …

L’unica certezza sull’ordine del tempo è che è ineludibile. Lo sa bene Liliana Cavani, che da giovane regista provocatoria è passata a essere una venerata maestra, certificata anche da un meritatissimo Leone alla carriera. Ma è una legge che vale per tutto, anche per la propria poetica, che con l’andar del tempo può mutare radicalmente.

L’ordine del tempo, l’ultimo film della regista carpigiana, approdato fuori concorso a Venezia 80 assieme alla sua autrice per celebrarne l’irrinunciabile carriera, ne è la prova. L’indignazione che suscitò a suo tempo Il portiere di notte, reo di sfruttamento del nazismo secondo alcuni, oggi è Cavani stessa che la porta sullo schermo, in bocca ai tanti personaggi altoborghesi del suo film.

Si è lanciata in un’impresa complicata, adattare l’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli, che negli ultimi anni ha provato con successo a rendere pop anche la scienza più ostica. Per farlo si è affidata a un’atmosfera da Perfetti sconosciuti, traslata però in una villetta sul mare e con un asteroide a fare da occasione irripetibile per liberarsi dei propri segreti.

Se la fisica c’è, la chimica incontra invece più difficoltà. Tra i personaggi non ci sono reazioni, sembrano divisi in compartimenti stagni, ognuno pronto a lanciarsi nei suoi spiegoni ma mai colpiti da quelli degli altri. Un’atmosfera che si appesantisce a ogni minuto del film, rendendo privi d’ogni effetto anche i numerosi colpi di scena che si succedono, in una sorta di spirale al limite dell’assurdo, da confessioni di tradimenti ad analisi sul granchio blu e le sue potenzialità.

Sullo sfondo, chiaramente, l’asteroide in avvicinamento, che promette di mettere fine all’esistenza umana. Il gruppo di amici oscilla tra blandi tentativi di non lasciarsi travolgere dal panico (compreso un discutibile sirtaki sulle note di Leonard Cohen, finito a cuscinate) e lunghe dissertazioni sulle possibilità di salvarsi.

L’unica che sembra effettivamente preoccupata per quel che sta accadendo è la domestica, peruviana, alla quale il clan altoborghese dà sì ascolto ma si guarda bene dal liberarla delle sue incombenze lavorative. Assistiamo così al grottesco di una donna che continua a servire in tavola torte e cocktail pur rimanendo terrorizzata dall’apocalisse imminente.

La catastrofe alla fine arriva ma non uccide nessuno, unica conseguenza sembra essere la sparizione delle camicie di lino indossate fino ad allora, in favore di più semplici magliette monocolore. Un ultimo, a tutti gli effetti inspiegabile, colpo di scena prova a chiudere la vicenda, ma permangono molti punti di domanda e perplessità.

Non basta e non basterà mai comunque un solo titolo per mettere in discussione la filmografia di Cavani, che a novant’anni ha ricevuto un riconoscimento concesso a un’età ben più giovane ai suoi colleghi uomini. L’ordine del tempo conferma se non altro la sua combattività, voglia di mettersi in gioco, senza fare sconti. Confermato anche dalle dichiarazioni in conferenza stampa: «È una vergogna che sia la prima donna a ricevere il Leone alla carriera». È ancora la Cavani che conosciamo.