Il potere delle donne e della letteratura. Rileggere “Lolita a Teheran”, il bestseller che vedremo alla Festa di Roma

In attesa della Festa di Roma dove passerà in concorso “Leggere Lolita a Teheran” del regista israeliano Eran Riklis, proponiamo la rilettura dell’omonimo romanzo dell’iraniana Azar Nafisi che allora alla sua uscita, erano i primi anni 2000, diventò un vero caso, trasformandosi in un bestseller internazionale. Uno spaccato del regime iraniano raccontato attraverso gli occhi di un’insegnante messa al bando e delle sue allieve. Con la letteratura a fare da scintilla per la ribellione …

 

È la letteratura la vera protagonista di Leggere Lolita a Teheran dell’iraniana Azar Nafisi (nata nel 1955), tradotto in 32 Paesi e in Italia apparso nel 2004 (Adelphi, traduzione di Roberto Serrai, pp. 379): pubblicato in inglese negli Stati Uniti dove l’autrice si è trasferita nel 1997 e dove tuttora insegna alla John Hopkins University di Washington, ci offre uno spaccato di storia dell’Iran raccontato da chi quella storia l’ha vissuta in prima persona.

Ma è soprattutto l’appassionante racconto di un seminario semiclandestino in cui per due anni sette giovani donne e la loro insegnante si concedono il lusso, nello spazio magico del suo salotto, di togliersi veli e chador e, tra caffè e pasticcini, storie private e critica letteraria,  discutendo di Vladimir Nabokov, John Fitzgerald, Jane Austen, Henry James e Virginia Woolf, “ambasciatori di un mondo proibito e puro” mettono a confronto finzione e realtà, fiaba e storia, sogno e concretezza del quotidiano.

La professoressa Nafisi era stata allontanata dal suo insegnamento di letteratura angloamericana all’università Allameh Tabatabei nel 1981, due anni dopo il trionfo della rivoluzione islamica, a causa dei contenuti delle sue lezioni e per aver rifiutato di indossare il velo. Tuttavia, per non lasciare totalmente l’insegnamento, decise di indire un seminario da tenersi ogni giovedì mattina presso la sua abitazione e a cui partecipavano sette studentesse: Manna, Nassrin, Mahshid, Yassi, Azin, Mitra e Sanaz.

Con il passare del tempo, durante il seminario, le ragazze fraternizzano e cominciano a raccontare il loro mondo privato, rivelandoci i dettagli delle loro vite: la poetessa Manna ha sposato per amore un ragazzo anch’esso appassionato di letteratura; la bellissima Azin ha invece un marito molto ricco che la picchia; Sanaz ha un fidanzato che vive in Inghilterra e che vede di rado; Yassi è l’allegra del gruppo; Nassrin è una contraddizione in termini e ha passato cinque anni in prigione.

Tutte, ciascuna a proprio modo, espongono le difficoltà di essere donna nella repubblica islamica dell’Iran, a partire dall’imposizione di un certo tipo di abbigliamento e dalle difficoltà della vita quotidiana. La letteratura per tutte loro rappresenta la libertà, quel mondo immaginario che amplia i loro orizzonti, le loro vedute, che le lascia sbalordite in desideri che non conoscono e che spingerà quasi tutte loro, alla fine, a lasciare il Paese.

E proprio libertà, donne e letteratura sono strumento di ribellione, perché, come mette in evidenza l’autrice, a capire dove stessero andando le cose furono le donne per prime: “Quante storie per un pezzo di stoffa“, le dice una delle sue studentesse quando iniziano le espulsioni per le insegnanti che si rifiutano di portare il velo. “Dicono che il privato è politico: non è vero, naturalmente – scrive Azar Nafisi – anzi, al centro della lotta per i diritti politici c’è proprio il desiderio di proteggere noi stessi, di impedire al politico di intromettersi nella vita privata”.

E qui entra in gioco la letteratura, per sopravvivere a quel mondo, a quella società, a quelle leggi, a quella mancanza di libertà; si doveva per forza crearsi un mondo immaginario dove ognuna fosse l’eroina del libro che più amava.
Nel soggiorno di Azar Nafisi, sotto le vette nevose dei monti Elburz, rinasce la tradizione femminile dell’Islam: nessuno taglia le ciglia e le unghie troppo lunghe, né censura le corse, le risate, la cipria, le parole, i gelati, gli occhi che si guardano negli occhi. Tutto si trasforma: scompare l’orribile mondo reale, dominato dal nero e dai maschi pelosi, e appare il meraviglioso regno dei colori, dei fiori e delle antiche storie iraniche. Le sette ragazze parlano di romanzi e di storie, mentre fuori infuria il fanatismo.

In ciascuno dei capitoli dedicati a un romanziere “occidentale” vengono a crearsi dei parallelismi tra la realtà iraniana e l’idea di Occidente che trasmette la lettura dei diversi libri. Si vive con l’autrice/professoressa il susseguirsi di eventi, l’ascesa del regime islamico, l’imposizione del velo, la progressiva privazione di diritti, anche i più banali: alle donne, principali vittime di Khomeini, viene confiscata l’esistenza. Su ogni momento, pensiero ed azione, “incombeva il tenebroso e barbuto Potere Maschile”.

La scelta da parte dell’autrice di leggere Lolita di Nabokov – la passione di un uomo maturo per una ragazza pre-adolescente – non significa una provocazione a curiosare morbosamente in ciò che è proibito, ma è piuttosto l’occasione di scoprire un grande autore che permette al lettore di andare oltre l’apparenza, di compiere un viaggio introspettivo nel proprio intimo e nella propria condizione. E l’autrice ci mostra un parallelismo lineare tra i protagonisti del romanzo, vittima e carnefice, e la vita delle sue ragazze private persino del ricordo di una libertà mai sperimentata. Come Nabokov, che a diciannove anni, durante la rivoluzione sovietica, non si lasciava distrarre dal rumore delle pallottole nelle strade ma continuava a scrivere i suoi versi, Azar Nafisi e le ragazze vivevano esclusivamente di letteratura. Non avevano altra patria, né altro rifugio, conforto o speranza.

E poi le opere americane, scelte perché considerate grandi romanzi e non per ragioni politiche; del resto si tratta di letteratura e non di dettami di vita: così Il grande Gatsby di Fitzgerald, più che una provocazione nei confronti dell’adulterio – in Iran punito con la lapidazione, mentre negli Stati Uniti è un semplice fatto privato – rappresenta il sogno americano perduto, il sogno di un popolo che non ha un passato e che rimpiange la speranza riposta nel futuro: aspettative deluse che l’autrice si domanda non si ritrovino anche nel sogno del regime islamico.

Il ritmo della narrazione incalza lasciando sempre più spazio agli eventi politici nel Paese, la letteratura con il passare del tempo e dei capitoli sembra relegarsi progressivamente a uno spazio intimo ampliando il divario tra sogni di un futuro migliore e realtà. 
Attraverso Jane Austen, Azar Nafisi sottolinea la forza del romanzo come forma narrativa che ha contribuito a mutare rapporti tradizionalmente definiti tra uomo e donna, individuo e società, laddove i temi del matrimonio, della violenza domestica, dell’obbedienza delle donne a determinate regole sociali e la rottura degli schemi sono l’occasione per le studentesse iraniane per riflettere sulla loro condizione di subordinazione all’interno della famiglia, che costituisce il primo, e più perfetto, sistema totalitario. E di questo sistema le dittature sembrano riprodurre i silenzi, i ricatti, le doppie verità, come l’autrice ha in seguito messo in luce nel suo Le cose che non ho detto (Adelphi 2008, traduzione di Ambretta Giumelli).