Il primo italiano in corsa per il Leone d’oro. E per Gianni Amelio è un vero “campo di battaglia”
“Campo di battaglia” di Gianni Amelio è il primo degli italiani passato in concorso a Venezia 81. Storia di un medico militare nel 1918, ispirata a “La sfida” di Carlo Patriarca, il film ha premesse valide ma non sviluppa i suoi temi, lasciandoli abbozzati in un risultato che somiglia più a un appunto che a un’opera completa. In sala dal 5 settembre (con 01) …
C’era un tempo in cui gli appunti per fare un film si prendevano con la macchina da presa al posto della penna. Rossellini, Pasolini, Fellini, grandi nomi che prima di iniziare a girare si prendevano un momento e filmavano le idee. Ci sono tornati in mente quegli appunti su pellicola vedendo Campo di battaglia di Gianni Amelio, il primo degli italiani in concorso a Venezia 81.
Peraltro è l’unico film italiano in gara al Lido diretto da un autore di lungo corso ed esperienza, un regista che a Venezia è di casa, ha vinto in passato, nel 1998 (Così ridevano, penultimo Leone d’oro italiano a tutt’oggi), e che tra l’altro rimane fra i pochissimi della sua generazione a vantare buoni risultati anche in sala. Forse andrà così anche in questo caso, lo scopriremo solo dal 5 settembre, quando il film sbarcherà nei cinema italiani per 01.
Se Campo di battaglia ricorda però i film d’appunti non è perché riesce a ricalcarne lo stile, ma più perché procede senza un ordine preciso. Il punto di partenza è un romanzo, La sfida di Carlo Patriarca (edito da Neri Pozza), ma serve solo da ispirazione, da suggerimento per i temi da appuntare. Lo stesso Amelio ha detto di essersi volutamente allontanato dalla fonte letteraria.
Il protagonista, Alessandro Borghi, ha un ruolo durissimo: medico militare durante gli anni della Grande Guerra. Difatti non ci stacchiamo mai dalle corsie ospedaliere, dove feriti di ogni tipo e dialetto lamentano le proprie ferite, più o meno velatamente contenti di non dover tornare al fronte. E Borghi li aiuta, provocando lesioni che rendono il congedo permanente. Fossimo rimasti su questo tema ne sarebbe venuto fuori un possibile bel thriller, in cui il chirurgo cerca di non far scoprire al collega, mandato lì dalla famiglia ricca e annoiata, di essere lui la causa degli aggravi.
Ma gli appunti hanno natura diversa, cambiano rapidamente, su una stessa pagina se ne possono trovare due totalmente opposti. Il film non arriva a questi estremi, esaurisce però rapidamente la trama con cui aveva iniziato per passare altrettanto velocemente ad un nuovo argomento: l’epidemia di spagnola che in quegli anni falcidiò l’Europa. Il rimando al Covid non è solo un’impressione, anzi è fortemente sottolineato, fin quasi al didascalico. Se da un lato è interessante vedere i vertici militari provare a insabbiare il dilagare implacabile del morbo, dall’altro la trama si perde in questo dedalo.
È chiaro che Amelio voleva parlare dell’oggi, delle due macronotizie che hanno affollato tutti i mezzi di informazione negli ultimi anni: la guerra e la paura del contagio. L’intuizione di affidarsi a un medico a suo modo “pacifista” era perfetta per legarle entrambe. Tuttavia in Campo di battaglia si riconosce solo l’intenzione, l’idea, come in uno schizzo appena accennato su un foglio. L’elaborazione non c’è, lo si vede anche in un aspetto più secondario della trama, un triangolo amoroso che ci viene presentato e mai sviluppato.
In questo contorno senza figura si perdono anche le immagini di grande impatto, come i camion che portano via i corpi, da cui è impossibile non richiamare nella memoria le immagini atroci di Bergamo. O l’immagine dell’ospedale a guerra finita, in cui i soldati festeggiano ma a ruoli invertiti: ora sono medici e infermieri ad essere allettati, contagiati dall’epidemia.
Gli appunti del film erano validissimi e spiace che il risultato finale non riesca a legarli insieme in un risultato coeso. Avrebbe potuto senz’altro candidarsi per un posto tra i Leoni. Ma la sensazione, mentre sullo schermo passano le immancabili didascalie finali sul numero di morti, è che il campo di battaglia di Gianni Amelio sarà, anche quest’anno, più che il palco della Mostra lo schermo della sala.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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