Il Quarto stato degli invisibili. Il disagio mentale si racconta in un film in concorso a Lo spiraglio
Arriva in concorso (il 13 aprile ore 16) al festival “Lo spiraglio” allo spazio Scena di Roma, “Percepire l’invisibile” doc realizzato nell’ambito di un laboratorio con gli utenti del Dipartimento Salute Mentale del Centro Diurno di via A. di Giorgio DSM ASL RM1, i loro terapeuti e professionisti del cinema. Un film (la regia è di Tino Franco) nel film incentrato sul tema dell’invisibilità, mentre il lockdown rendeva spettrale la stessa città. Doppio il livello di lettura tra piano sociale e individuale…
In Percepire l’invisibile c’è un io narrante collettivo, formato dai lavoratori della ASL 1 di Roma e da un gruppo di utenti, i quali scrivono e producono un corto di 15 minuti. In tutto sono 46 minuti circa.
Può sembrare un lavoro semplice, ma è il risultato di due anni di impegno, sulla scorta di 10 anni di lenta e profonda elaborazione di un Centro Terapeutico diurno romano della ASL RM1.
I terapisti con gli utenti infatti, per molti anni hanno organizzato un Laboratorio Cineforum. Si sono recati ogni mercoledi al cinema, hanno scelto il film da vedere, assistendo poi alla proiezione, con conseguente dibattito, che evidentemente in questo caso, non come nel film di Moretti “il dibattito noo!”, deve essere stato proficuo visto che l’esito è un bel cortometraggio, lieve, leggibile a più livelli, quindi dal complesso e serissimo contenuto.
Gli utenti del centro diurno che hanno lavorato al corto, hanno scelto Ponte Milvio e la zona dei lucchetti come luogo della vicenda.
Hanno scritto e sceneggiato la storia, avendo come tutor della sceneggiatura Matteo Martone, la regia è di Tino Franco, la produzione Space Off srl .
Le vicende sono quelle della pandemia, in una Roma sparente, non animata dal caotico movimento dei suoi abitanti, dal suo traffico, dai suoi rumori. Essa appare livida silenziosa inanimata, alle soglie dell’invisibilità.
La storia sembra semplice, ma se ne vede tutta la profondità se si leggono le rispondenze e i rimandi fra il piano sociale e quello individuale.
L’impianto dell’opera quindi è almeno a due livelli che dialogano tra loro, sia sul piano individuale che su quello sociale. E così il tema del lavoro e del suo valore sociale e quello dell’amore, il valore per la vita della condivisione con l’altro, che ci porta a vedere l’altro e l’altro che è in noi, s’intrecciano e divengono centrali per una società e per individui sani.
Al livello più ampio dunque è una città malata, vista attraverso il lockdown e la conseguente assenza di utenti, con un Dipartimento di Salute Mentale che si interroga su come rivitalizzare le parti invisibili. A livello del singolo è l’amore l’artefice della cura, che ci fa percepire il dolore invisibile, che a volte è in noi, e, attraverso la cura dell’emotività malata, ci fa sentire di nuovo partecipi.
Il diritto al lavoro, come lavoro relazionale con l’altro, con noi stessi e con il mondo sociale, e il legame, l’amore, si offrono come protagonisti, che motivano con la loro assenza la sensazione di invisibilità. Dal prendersi cura di questi due aspetti origina la possibilità di lenire il proprio personale se malato e recuperare la propria dignità come individuo sociale.
Francesco e Silvia arrivano a ponte Milvio, che, in una città desertificata, è resa allegra e colorata dai lucchetti dell’amore. Soprattutto Silvia, con la sua emotività motiva Francesco alla vita. La loro voglia di vivere li avvia a diventare visibili prima di tutto a se stessi.
Attraverso il condividere cogli altri tutto ciò che rende invisibili, la perdita del lavoro, la disabilità, la vecchiaia, i luoghi concentrazionari come l’ospedale, possono essere presi in cura e sanati.
Infine al cinema Farnese oggi, a tutti coloro che hanno collaborato a questo film-laboratorio cogliendone il valore spetta ora il compito di curarne la visibilità. Cosa non facile visti i tempi.
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Ottima idea!