Il sindacalista non è un mestiere. Le tante (troppe) battaglie di Olivier
È in sala dal 7 febbraio (per Parthénos), “Le nostre battaglie” del belga Guillame Senez. Un film operaio, tenero e drammatico. Un’opera che scava con naturalezza, con pietà, con gentilezza, nella vita difficile di uno come tanti che cerca di districarsi tra gli impegni di lavoro e la famiglia. E non ci riesce. Perché fare il sindacalista, soprattutto se lo si vuol far bene, con attenzione e sensibilità non è un “mestiere” come un altro. Può diventare una missione. Vincitore all’ultimo Torinofilmfest e passato allo scorso Cannes. Da vedere …
È la storia di un operaio, protagonista di un film tenero e drammatico. Un’opera che scava con naturalezza, con pietà, con gentilezza, nella vita difficile di uno come tanti che cerca di districarsi tra gli impegni di lavoro e la famiglia. E non ci riesce. Tanto che la moglie, l’amata compagna di vita, un bel giorno, stanca dei silenzi, della solitudine, del peso familiare tutto su di lei, fugge, lo lascia solo con i due piccoli figli. Senza porgere un biglietto, una motivazione, senza dire dove va. Una ribellione amara, fredda e silenziosa.
È la storia di una battaglia. E il titolo del film, vincitore all’ultimo Torino FilmFestival (Premio del pubblico e Cipputi), è proprio Nos batailles, le Nostre battaglie . Il regista è il belga Guillame Senez. Il protagonista, l’operaio Olivier, perfetto nella sua interpretazione, è Romain Duris. La moglie Laura ha un ruolo breve ma essenziale, così come Laetitia Dosch e Dominique Valadié. Mentre spiccano, per la loro naturalezza i due bambini al loro primo ruolo: Basile Grunberger e Lena Girard Voss.
Il particolare che più colpisce in questo dramma familiare, raccontato con estrema semplicità, senza scene altisonanti, è il “mestiere” di Olivier. Perché non è solo un operaio troppo preso dalle sue mansioni. È anche un sindacalista, un membro della Rsu, diremmo noi in Italia, la “rappresentanza sindacale unitaria”. Cosicché non è solo costretto a correre su e giù per gli infiniti corridoi di questa moderna impresa che assomiglia tanto ad Amazon, cercando di non perdere di vista il tablet che “governa” ogni lavoratore. Il suo ruolo, il suo compito consiste anche nel cercare di difendere, tutelare, i diritti di donne e di uomini che lavorano in quel luogo. Cosicché lo vediamo, ad esempio, mentre viene assalito da uno scoppio d’ira nei confronti del medico di fabbrica sempre pronto a denunciare alla direzione il caso di qualche ragazza rimasta incinta e che per questo rischia il licenziamento.
Fatto sta che a tarda sera Olivier torna a casa e poi magari è costretto a riuscire perché un altro operaio ha tentato il suicidio. Un marito quasi assente. La moglie Laura tenta invano di rompere il silenzio, di parlargli, di ravvivare l’unione. E alla fine scompare.
Sono come due film, uno sulla famiglia e uno sul lavoro e il sindacato. Su che cosa significa fare il sindacalista, soprattutto se lo si vuol far bene, con attenzione e sensibilità. No, non è un “mestiere” come un altro. Può diventare una missione. Ecco, tutti quelli che oggi magari gridano ai presunti privilegi dei sindacalisti dovrebbero vedere questo film. E capire che esistono certo zone dove si sono formati burocraticismi, inerzie, piccoli privilegi, ma esistono anche migliaia di uomini e donne dediti con passione e impegno a un ruolo fondamentale. Quello della difesa dei diritti di chi lavora. Magari a scapito delle proprie famiglie.
Come capita a Olivier. Che non vi diremo come va a finire. Diremo solo che la decisione verrà estratta a sorte. Voteranno la scelta, con voto segreto, i tre membri del nucleo familiare che ancora sperano nel ritorno di Laura. Ovvero il papà e i due bambini. Che non disarmano.
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