Kenneth Branagh stavolta fa un po’ horror. E porta (i baffi di) Hercule Poirot tra i misteri di Venezia
In sala dal 14 settembre (per 20th Century Studios) “Assassinio a Venezia” nuova incursione nel mondo di Agatha Christie per Kenneth Branagh. Sedute spiritiche, mantelli neri, maschere, apparizioni improvvise nel più classico degli horror nello scenario veneziano che ben si presta al mistero. Se non fossimo italiani che ne conosciamo l’allure inconfondibile dai tempi della Serenissima, forse saremmo stati più catturati dalle cartoline di questo film di mestiere …
Fare il personaggio della medium nei film è una pessima idea perché si finisce (quasi) sempre ammazzati e ammazzati male. Per fiction, naturalmente, ma lo spettatore accorto, appena entra in campo il soggetto, si immagina già come andrà la storia. Succede anche nel nuovo film agathachristiano che Kenneth Branagh porta sugli schermi italiani dal 14 settembre, dove tra una festa di Halloween e una seduta spiritica ne succedono di ogni – parecchie ugualmente prevedibili – in un palazzo veneziano dalle molte ombre.
Assassinio a Venezia è il terzo titolo che il regista pesca dal vasto repertorio della scrittrice di gialli, dopo lo sfoggiato e interessante Assassinio sull’Orient-Express e il mesmerico (per effetti speciali) Assassinio sul Nilo. Certo, in inglese suona meglio e meno ripetitivo A Haunting in Venice, dove nella parola haunting risuona un che di spettrale, di ossessivo, di persecutorio che ben si addice a una storia debitrice solo nell’ossatura dell’originale Hallowe’en Party (Poirot e la strage degli innocenti). Branagh e il suo sceneggiatore Michael Green vanno da un’altra parte, rivisitando personaggi, luoghi e temi di Agatha Christie.
Hercule Poirot, nella traduzione visiva di Kenneth Branagh, continua a sfoggiare i suoi baffetti da condor pasa e uno sguardo immalinconito sul mondo. Anzi, da recluso dal mondo in quell’esilio dorato dove ha scelto di stare in una città a caso: Venezia – location insostituibile da 007 a Mission impossible, e per tutti quei film che hanno bisogno di una spolverata di inquietante mistero, avventure nella nebbia, acqua stagnante, maschere, mantelli neri e putipù (ah no, questi li fanno a Napoli).
Nel romanzo originale tutto si svolgeva in una dimora altoborghese della campagna inglese e basterebbe questo dettaglio per far capire che stiamo su un altro pianeta dove ci sono personaggi che magari hanno lo stesso nome e fanno cose simili ma sono marziani rispetto al mondo di Agatha.
Svolgimento e approfondimento del personaggio Poirot, sembra essere la mission di Branagh, che forse ha in mente il crepuscolare Maigret di Depardieu nell’omonimo film di Leconte. Solo che l’omino grassoccio dall’incipiente calvizie, i baffini impomatati a virgola, insomma il travet dell’investigazione poco incline ai moti sentimentali descritto dalla scrittrice inglese somiglia pochino all’imponente Poirot di Kenneth, illanguidito dall’età e provato dagli effetti collaterali post Seconda Guerra Mondiale (l’anno è il 1947, due lustri – e di quelli pesanti – in più rispetto al 1937 della storia originale).
Stanco di fare l’indagatore delle zone buie della mente umana e dedito alla misurazione dell’uovo perfetto per la colazione, Kenneth-Hercule si ritrova catturato dal mistero attraverso una sua amica scrittrice, Ariadne Oliver (Tina Fey), che lo invita alla festa di una cantante lirica. Alla festa seguirà una seduta spiritica con una famosa medium perché la padrona di casa vorrebbe contattare la figlia, morta in circostanze poco chiare. Voglioso di fare luce su aspetti soprannaturali in cui il raziocinante Poirot crede poco o nulla, l’investigatore verrà suo malgrado coinvolto nel clima inquietante della serata, grazie a un armamentario di rumori e apparizioni improvvise nel più classico degli horror.
Branagh fa un film di mestiere. Soprattutto da regista e attore teatrale: mette in circolo i personaggi, ognuno col suo monologo e pippotto finale spiega misteri di Poirot. Spicca fra tutti, oltre allo stesso impeccabile Kenneth, la governante interpretata da Camille Cottin con la giusta dose di umanità e senso religioso vagamente bigotto e la medium Michelle Yeoh, che tinge di ambigue verità il suo ruolo).
Da notare anche il giovanissimo Jude Hill, interpreta una nuova coppia figlio-padre con Jamie Nordan (già insieme nel precedente film di Branagh, Belfast). C’è pure Riccardo Scamarcio nel ruolo di (guarda)spalla di Hercule-Kenneth, che cerca di diventare più intenso con la recitazione a scapito di un’avvenenza messa in secondo piano come già nel Caravaggio per Michele Placido.
Più eccentrica e interessante la regia visiva, con inquadrature ellittiche, interni in penombra animati dalle luci delle candele, l’irresistibile fascino di Venezia. Se non fossimo italiani che ne conosciamo l’allure inconfondibile dai tempi della Serenissima, forse saremmo stati più catturati dalle cartoline di Assassinio a Venezia.
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