La Berlinale taglia le corna al toro, pardon all’Orso. Via il genere, spazio a tutti i generi
La Berlinale cancella il genere nei premi. Dall’edizione 2021 non ci saranno più l’Orso al “miglior attore” e “miglior attrice” ma quelli al “ruolo principale” e “ruolo secondario”. Una decisione salomonica ma al passo coi tempi, che indica l’importanza di iniziare a concepire il mondo e le nostre vite in una maniera non binaria, che esca fuori dalla dicotomia maschio-femmina per riconoscere una realtà più multiforme e complessa, in cui l’identità di origine, quella biologica, è solo uno dei tanti elementi che vanno a comporre l’identità di una persona …
Una decisione salomonica ma al passo coi tempi quella della direzione del Festival di Berlino di cancellare il genere, sostituendo l’Orso al “miglior attore” e “miglior attrice” con quello al “ruolo principale” e “ruolo secondario”.
Sicuramente i tradizionalisti solleveranno un mucchio di inutili polemiche, dimenticando che inizialmente i primi festival cinematografici assegnavano un unico premio per la migliore interpretazione e che solo in un secondo momento è prevalsa l’esigenza di fare una distinzione, creando così lo schema che perdura fino ad oggi. Come dire che le tradizioni si creano e si modificano a seconda dei tempi e delle necessità, non sono insomma un kubrikiano e inattaccabile monolite.
La decisione del Festival di Berlino è un segnale importante perché indica una direzione che è possibile seguire, una risposta a una necessità di essere una società più comprensiva e includente, un tassello che si aggiunge a uno schema più ampio che è quello di cominciare a ripensare il modo in cui si concepisce la nostra esistenza e la natura umana.
A fronte, invece, di sempre più inquietanti aperture verso posizioni estremamente retrograde e conservatrici anche vicino casa nostra: dalle dichiarazioni governative della Polonia che auspicano la trasformazione della nazione in una zona LGBT-free (cioè senza persone LGBT) alle violenze quotidiane e sempre più pesanti nei confronti delle persone LGBT e in special modo le persone trans da parte della polizia del despota turco Erdogan e via dicendo (senza dimenticare i vari ducetti d’Italia, sempre pronti a sbandierare le loro credenziali chiesa e patria, fintanto che c’è un obiettivo che li riprende).
Da molti anni è in atto il dibattito, dentro e fuori la comunità LGBT, sull’importanza di iniziare a concepire il mondo e le nostre vite in una maniera non binaria, che esca fuori dalla dicotomia maschio-femmina per riconoscere una realtà più multiforme e complessa, in cui l’identità di origine, quella biologica, è solo uno dei tanti elementi che vanno a comporre l’identità di una persona.
Da queste riflessioni nati nuovi termini, nuovi pensieri che danno forma a nuovi modi di concepire le cose: specificare l’identità di genere solo nel caso delle persone trans oggi può essere considerato un atteggiamento piuttosto discriminatorio, da qui la scelta – laddove ce ne sia una necessità – di distinguere fra uomini e donne cis(gender), cioè le persone la cui identità di genere corrisponde a quella biologica, o uomini e donne trans(gender), in cui l’identità di genere è diversa da quella biologica. Questo è solo un esempio, ipersemplificato, di come le abitudini linguistiche siano soggette a trasformazioni a seconda di come si muove e si trasforma la cultura di una determinata società.
Non sorprende che questo piccolo segnale provenga dal Festival di Berlino, il primo festival – tra i big – a istituire un premio ad hoc per i film che meglio trattano le tematiche LGBT, il Teddy Bear Award, l’Orsacchiotto d’oro (giocando con le assonanze fra il simbolo stesso del festival e una parte specifica della comunità LGBT), a cui hanno fatto seguito i vari leoncini e palme arcobaleno di altri festival importanti.
Recentemente – e fortunatamente – molti interpreti trans hanno cominciato ad affermarsi in un’arena molto più ampia della nicchia a cui erano stati relegati per decenni. Premesso che di questi esempi ce ne sono ancora pochi (e che il formato televisivo si è per ora dimostrato molto più attento di quello del cinema mainstream), basti pensare a una serie tv come Pose e alle sue eccezionali protagoniste, Mj Rodriguez, Dominique Jackson e Indya Moore, che nel corso di due stagioni hanno dato prova di una versatilità recitativa da far mettere sull’attenti anche premi oscar come Meryl Streep, per avere un’idea di quanto le cose siano già cambiate.
Forse è anche per includere queste nuove generazioni di performer – ed evitare le polemiche di perbenisti e femministe trans-escludenti – che il Festival di Berlino ha deciso di tagliare le corna al toro (pardon, all’orso) e di istituire un semplice premio alla migliore interpretazione piuttosto che restare ancorato al binarismo attore/attrice.
Una decisione salomonica, come dicevamo, ma che lancia un segnale e segna una direzione. Perché di questi tempi sta a tutti noi decidere se andare nella direzione indicata dalla Polonia, dall’Ungheria o dalla Turchia o se affrettarsi invece nella direzione opposta.
Fabiomassimo Lozzi
Regista e scrittore, vive tra l'Inghilterra e l'Italia. Suoi i film: "Altromondo" (2008), "Stare Fuori" (2009), "Nessuno è Perfetto!" (2013) e il film partecipato "Oggi Insieme Domani Anche" (2015). Ttra i suoi racconti: "Allupa Allupa", "La Manutenzione della Carne", "Tutti Giù all'Inferno", "Qualcuno ha morso il Cane", "Buon Natale Buon Anno Nuoo", "Laudato Sie Mi' Signore"
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