La santa controvoglia di Susanna Nicchiarelli. “Chiara”, l’ultima di Venezia 79

Chiude il concorso di Venezia 79 “Chiara” di Susanna Nicchiarelli, terzo capitolo delle biografie di donne dimenticate dalla storia intrapreso dalla regista. La santa di Assisi sfida il mondo maschile e il suo contraltare Francesco, ma il film non convince …

I dipinti più interessanti della Madonna, nella storia dell’arte, sono quelli che la ritraggono giovane e quasi bambina. Quel che ci affascina è l’intento di sovvertire un ordine definito e che pare immutabile. Sarà anche per questo che Susanna Nicchiarelli, tornata in concorso al Lido dopo due anni, ha scelto che la sua Santa Chiara non crescesse mai.

In Chiara, l’ultimo degli italiani in concorso per il Leone, ma anche ultimo dell’intera competizione principale, la protagonista non invecchia, nonostante gli oltre vent’anni abbracciati dalla storia. Come quei dipinti, anche il film vuole raccontare qualcosa di noto con una luce nuova, opposta a quella a cui siamo abituati.

Nicchiarelli ha fatto di questo tipo di operazioni una sorta di marchio di fabbrica. Sin da Nico, 1988 del 2017, vincitore del premio al miglior film in Orizzonti, ha iniziato a ricercare nella storia figure di donne messe in ombra da narrazioni incentrate sugli uomini. Dopo la voce dei Velvet Underground, era tornata a Venezia, in concorso, con il racconto della vita di Tussy Marx, figlia minore di Karl. Quest’anno è la volta di Santa Chiara, in quella che diventa quindi una trilogia, ma non è da escludere possa ampliarsi ancora.

Il film si apre nel 1211, quando Chiara (Margherita Mazzucco) scappa di casa per vivere in povertà secondo l’esempio di San Francesco (Andrea Carpenzano), che la accoglie con sé e i suoi frati. La figura del santo, più volte ripresa al cinema, da Rossellini a Cavani, è il contraltare della protagonista. Lui, uomo, che in quanto tale ottiene di poter viaggiare in Terra Santa e di fondare un ordine. A Chiara ogni cosa viene invece negata, fino al tradimento ultimo dello stesso Francesco, che pur di vedere approvata la propria regola cede alla demonizzazione della donna.

La regista sceglie di focalizzarsi completamente su Chiara proprio per togliere spazio a Francesco, che dopo la partenza per la Terra Santa appare infatti sempre più raramente. È il movimento opposto a quello della storia, che ha invece sempre lasciato nell’ombra la santa per celebrare il maschio. Una scelta che si comprende sin dalle prime immagini, ma che rischia di essere l’unica cosa che rimanga davvero di tutto il film.

Chiara è nei fatti una sequela di episodi della vita comunitaria che la santa e le sue consorelle condividono. A scandirli c’è l’annuncio continuo degli anni, ma nulla cambia davvero in quello che ci viene mostrato. Sembrano quasi brevi puntate di una serie, in cui Chiara viene sempre mostrata inequivocabilmente come modello di umiltà e devozione, ammirata da tutte le altre.

Persino la promessa che il titolo sembrava sottintendere, quella cioè di occuparsi della persona e non della figura religiosa, viene disattesa. Il film più volte chiama in causa il divino, soffermandosi in varie occasioni sul compimento dei miracoli, in alcuni casi così goffamente da dare l’impressione che si sia davanti più a un maleficio che a una manifestazione di santità. Solo una volta Chiara riprende le donne attorno a lei per minimizzare le sue azioni.

Coraggiosa è la scelta di far parlare ogni personaggio in uno pseudo-volgare umbro. I dialoghi ne escono senza dubbio appesantiti e più ermetici, ma il lavoro di sceneggiatura ha saputo evitare ampiamente il rischio di richiamare quel capolavoro filologico che risponde al titolo de L’armata Brancaleone. In alcuni momenti la cadenza regionale dei vari interpreti dona uno strano effetto, ma a conti fatti si può parlare di una scelta vincente, che impreziosisce anche l’immancabile lettura del Cantico delle creature.

Meno riuscito è invece l’uso della musica. Come già si era detto per L’immensità di Emanuele Crialese, anche Chiara sembra aver avuto la tentazione del musical, forse sulla scorta della Giovanna D’Arco di Bruno Dumont. Le coreografie e le performance corali su melodie medioevali risultano completamente distaccate dal resto del film. Così come il finale, con l’utilizzo di un brano contemporaneo sul contesto del Duecento (uno dei punti di forza di Miss Marx), nient’altro che una strana parentesi per provare a chiudere in bellezza.

Chiara è per ora l’anello debole della trilogia al femminile di Nicchiarelli, che fin qui aveva proposto titoli di grande interesse. Anche il suo valore per la conoscenza di una figura storica normalmente non approfondita è relativo. Un’occasione mancata, la seconda per il cinema italiano che corre per il Leone.