La verità (processuale) alla sbarra. Un legal movie all’americana per Daniel Auteuil di nuovo regista

In sala dal 19 settembre (per BiM Distribuzione) “La misura del dubbio” nuovo titolo (il quinto) da regista di Daniel Auteuil ispirato alla raccolta di racconti giudiziari dell’avvocato penalista francese Jean-Yves Moyart, detto maître Mô, diventato famoso per il suo blog. Produzione francese a tutto tondo ma legal movie ricco di colpi di scena che si rifà al cinema di genere americano. Presentato a Cannes 2024 …

Già presentato al 77° Festival di Cannes, arriva nei cinema italiani dal 19 settembre con BiM Distribuzione il film scritto, diretto e interpretato da Daniel Auteuil, La misura del dubbio, il cui titolo originale francese, Le fil, è più consono alla trama e ai contenuti.

Produzione francese a tutto tondo ma legal movie ricco di colpi di scena che si rifà al cinema di genere americano, il film – quinto lungometraggio diretto da Auteuil – è tratto dalla raccolta di racconti Au guet-apens: chroniques de la justice pénale ordinaire (inedito in Italia), scritta dall’avvocato penalista Jean-Yves Moyart, detto maître Mô, divenuto famoso su Internet grazie al blog Petite chronique judiciaire, ordinaire et subjective in cui racconta casi reali come quello che ha dato spunto al film. Vale la pena ricordare che maître, appellativo che ricorre spesso nella versione originale, viene usato in Francia per i professionisti del settore giuridico, avvocati e notai.

Jean Monier è un avvocato-maître di provincia dall’altalenante carriera che ha le spalle un caso assai discusso, l’assoluzione di un omicida che ha ripreso a praticare dopo essere uscito di galera. Qui, chiamato incidentalmente a un interrogatorio preliminare come difensore d’ufficio, sceglie di mettersi dalla parte di un padre di famiglia accusato di avere ucciso la moglie, con prove a carico pesanti ma non definitive. Convinto fino all’ultimo dell’innocenza del suo cliente, nell’arringa finale del processo arriva a mettere in gioco l’intero bagaglio retorico oltre alla propria coscienza, alla deontologia professionale e persino ai rapporti personali. Per una causa che poi si rivelerà del tutto differente da quella che lui aveva scelto di patrocinare.

Il focus del film si sposta dunque dalla vicenda criminosa alla prova psicologica, professionale e morale a cui viene sottoposto il protagonista, rinviando a questioni assai delicate come la verità processuale contrapposta a quella reale, l’attendibilità delle testimonianze e delle prove in base a cui una persona può essere condannata o meno, la capacità di convincimento della difesa e del pubblico ministero, nonché i rapporti umani e i sentimenti che sono chiamati in causa.

Daniel Auteuil – quando si parla di lui non può non venire in mente il nostro Sergio Castellitto, entrambi a loro agio nei ruoli più disparati e nell’ambiente cinematografico dei rispettivi paesi, ormai con piglio patriarcale – si muove con disinvoltura nelle pieghe psicologiche e nelle implicazioni legali del film, che ricorda per modalità di racconto e intensità il recente The Penitent di Luca Barbareschi presentato al Festival di Venezia 2023, anch’esso legal movie con crisi di ruoli e rimandi a temi complessi.

Al di fuori dell’aula di tribunale in cui si svolge gran parte del film, l’ambientazione esterna è quella inusuale del sud della Francia e della Camargue dove si sentono già le prime influenze spagnole e dove Daniel Auteuil ha a lungo vissuto. La parte dell’accusato è affidata al bravissimo caratterista francese Grégory Gadebois, capace di tenere lo spettatore sospeso tra empatia e repulsione psicosomatica.