L’Amarcord di Paolo Sorrentino. Inseguendo (di nuovo) Fellini

In sala dal 24 novembre (per Lucky Red) e poi su Netflix dal 15 dicembre “È stata la mano di dio”, nuovo atteso film di Paolo Sorrentino. Un ulteriore tassello al suo percorso “felliniano” che gli ha già fruttato l’Oscar per “La grande bellezza”. Anche se ora il regista napoletano ribatte che il suo unico nume è Massimo Troisi. Passato in concorso a Venezia 78 ha vinto il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria e il Premio Marcello Mastroianni a Filippo Scotti, come migliore attore emergente …

 

Federico Fellini aveva 53 anni quando girò il suo Amarcord. Paolo Sorrentino 51. È stata la mano di dio, premiato due volte a Venezia 78 (Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria e il Premio Marcello Mastroianni a Filippo Scotti) è infatti il più esplicito amarcord che il regista napoletano potesse concepire.

Non tanto perché vi racconta la sua storia più personale di adolescente (col premiato Filippo Scotti) segnato dalla perdita dei genitori e attratto dalla fede per Maradona, ma piuttosto perché il film più autobiografico del grande Federico se lo cuce addosso, adattando bordi e mostrine alla sua storia e soprattutto alla sua Napoli dei Novanta.

Tra giunoniche signore, sexy zie, pazzerelli e varia umanità fuori norma, Sorrentino ribadisce ancora una volta il suo legame con Fellini – invitandolo persino in un set in città – , già fruttatogli l’Oscar con quella sorta di Dolce vita aggiornata e corretta agli anni Duemila come è stata intesa La grande bellezza.

La sua notorietà internazionale è passata da lì – anche se ora tiene a ribadire invece il legame con Troisi -. È passata dalla sua riconoscibilità come regista felliniano. Di cui lui stesso si dà investitura definitiva in questo suo film targato Netflix, scelto dall’Italia per la corsa all’Oscar e destinato ad un nuovo sicuro successo planetario. Con lancio mediatico da grande evento e denuncia dell’Anac sullo strapotere dei colossi dello streaming a scapito dei cinema.

La critica internazionale ama Sorrentino per la sua riconoscibilità. Mentre la nostrana perché trova irresistibile i talenti di successo. Anzi il successo in generale da non scalfire, per carità.

Se la ridondanza farsesca e per certi versi volgare e ripetitiva del più rodato Sorrentino Style – qui ancora più evidente – poco ha a che fare con l’universo felliniano, poco conta. Conta piuttosto quanto ormai lui sia stato identificato come erede assoluto del grande Federico. E come da erede, appunto, non perda occasione di costruirsi il legame di parentela, a scapito di una creatività e un’orginalità che con L’uomo in più e Le conseguenze dell’amore, aveva toccato vette altissime a cui vorremmo tanto vederlo ritornare.

È stata la mano di Dio accompagna lo spettatore nella Napoli della prima giovinezza di Paolo Sorrentino, nel suo Amarcord di ragazzo, concludendosi con la sua decisione di partire per Roma per fare il cinema. Complice, in una delle scene meno riuscite del film, un Antonio Capuano nei panni del mentore tutto genio e sregolatezza. Chissà forse il prossimo passo sarà il racconto dei suoi esordi da cineasta a mo’ di Intervista. Ma intanto speriamo nella mano di Dio per un suo vero ritorno alle origini.