L’archeologo che tentò di eliminare Hitler e Mussolini… con l’arte. In un doc

In sala dall’11 maggio (per Istituto Luce Cinecittà) “L’uomo che non cambiò la storia”, il bel doc di Enrico Caria – già passato a Venezia -, liberamente ispirato ai diari del celebre storico dell’arte Ranuccio Bianchi Bandinelli, in cui narra il suo incredibile tentativo di eliminare i due dittatori durante la visita di Hitler del ’38. Caria sforna un racconto delicato, psicologico, intimo ma grandioso, sulle incertezze e sui dati concreti in cui si dibatte un grande intellettuale di quell’epoca. Da vedere…

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Trovarsi, davvero controvoglia, a contatto con due potentissimi e temutissimi dittatori ed avere la nemmeno tanto larvata voglia, e infine la concreta possibilità, di cambiare il corso della storia. È questo quello che è incredibilmente successo a Ranuccio Bianchi Bandinelli, archeologo, e che il film di Enrico Caria ora ci racconta in modo incalzante e piacevole.

È davvero curioso poter avere ora la fortuna di ascoltare i ricordi vergati nel proprio diario dal “cicerone” di quel famoso viaggio che il Führer compì in Italia nel 1938. Si tratta di un “cicerone” proprio d’eccezione: arcinoto archeologo, avverso al fascismo, che nonostante tutto il regime volle comunque, per illustrare all’ospite tedesco le meraviglie artistiche del nostro paese.

Ancor più curioso scoprire che il nobile Ranuccio, famiglia senese, aristocratica da secoli, nel dopoguerra aderì con convinzione al marxismo e al Partito Comunista e si lanciò in una conseguente e palpitante collettivizzazione delle proprie terre e casolari a vantaggio dei contadini, con successiva formazione di una cooperativa agraria che tuttora esiste.

All’epoca del viaggio di Hitler Ranuccio Bianchi Bandinelli, massimo studioso italiano d’arte romana e tra i padri dell’archeologia moderna, era in odore di antifascismo, ma ad ogni modo anche un personaggio autorevole, da “sfoggio” per il regime fascista.
Bandinelli ci prova anche a sottrarsi all’incarico, ma non c’è nulla da fare. Il regime vuole proprio lui come guida per Hitler.

Arriva dunque un ordine perentorio ed allora gli tocca addirittura vestire in orbace, per l’occasione; riesce solo a rifiutarsi di appuntare sul petto decorazioni mai acquisite ma che, secondo il cerimoniale, farebbero la loro figura. Poi, mentre l’ospite sta per arrivare, mentre si studiano i luoghi storici da visitare, e i tempi che ci vogliono per farlo, Ranuccio si trova a considerare che nessuno, polizia, fascisti, Ovra, lo degna di particolari attenzioni e lui potrebbe compiere con estrema facilità quell’ attentato duplice che, sente, libererebbe il mondo da atrocità e nefandezze facili da intuire all’epoca, anche se non di certo nelle dimensioni efferate e barbare che ebbero durante la guerra.

In tanti ci hanno già provato a “far fuori”, singolarmente, Mussolini o Hitler, ma nessuno ci è mai riuscito, per quanto le loro vite sono protette, anche dall’ “adesione” popolare alle dittature. Quello che non è riuscito a nessuno, a lui potrebbe essere concesso. Se solo ne fosse convinto fino in fondo, se solo ci fosse un’organizzazione, un’ideologia, un partito per cui compiere il gesto, se solo… .

La Storia, quella con la “S” maiuscola, lo metterà così per ben 4 giorni a contatto diretto con Hitler e Mussolini, insieme. Ad un passo dall’uno e dall’altro. Sulla loro stessa auto scoperta, nei salottini, nei corridoi, nei musei. Ora solo a lui toccherà stabilire che fare. E quello che farà, dopo infiniti tormenti interiori, sarà decidere di tornarsene ai propri studi; e lo farà. Non ha il fisico per fare il killer. Non è un “uomo d’azione”, piuttosto di pensiero.

È difficile raccontare, in un film, un fatto non “compiuto”, una mera “intenzione”. Enrico Caria in questo suo L’uomo che non cambiò la storia, ci riesce, e davvero molto bene, con la giusta suspense, perché sforna un racconto delicato, psicologico, intimo ma grandioso, sulle incertezze e sui dati concreti in cui si dibatte un grande intellettuale di quell’epoca. Illustra tutta la forza e l’integrità di una certa genìa aristocratica di valore, in grado di non astrarsi dal tempo, e tuttavia schiava del proprio ruolo stabilito dal tempo.

E con la pazienza di un archeologo, Caria opera lo “scavo”: tutte cose che si apprezzano come si apprezza il linguaggio del racconto di Ranuccio (con la voce di Claudio Bigagli): morbido, rotondo, sarcastico a volte, pungente, eloquente, immaginifico. Una scrittura dotta e cosciente, di cui si gode particolarmente nei rendiconto che egli fa dei commenti di Hitler e Mussolini pronunciano durante le visite ai musei e ai luoghi storici.

Questa parte, minima e quasi “quotidiana”, comunque non ufficiale, dà modo di conoscere dettagli caratteriali molto interessanti dei dittatori: da una parte la curiosità un po’ sprovveduta di Hitler (pittore imbrattatele in gioventù) per l’arte, dall’altra la smania di far buona figura con il “barbaro” che ha Mussolini, la sua strafottenza contrapposta alla quasi timidezza di Hitler, che maschera voglie smodate di potere, in un ritratto psicologico che non era possibile acquisire per noto, che nessun giornalista dell’epoca avrebbe mai potuto redigere.

Dei due, con attenzione straordinaria al particolare, nel suo notes, Ranuccio Bianchi Bandinelli appunta ogni cosa: la postura, il modo di tenere le mani, il gesticolare, il tono della voce, gli sguardi, le battute.

Nel suo bel film Enrico Caria fa poi un uso dosato, e “rinnovato”, del repertorio, con un tappeto di rumori creati ad hoc, con cenni di graphic novel (grazie alle illustrazioni di Spartaco Ripa), e infittisce infine il racconto con musiche che, essendo spesso divergenti, conferiscono ulteriore significato.

La sceneggiatura, con efficaci tocchi tendenti al “noir”, e risvolti introspettivi, è liberamente tratta dal diario di Ranuccio Bianchi Bandinelli intitolato, Hitler e Mussolini. 1938 Il viaggio del Führer in Italia (già edito da e/o), volume che sarà riedito da Istituto Luce Cinecittà nel cofanetto dvd del film.