Lasciatevi stupire dal carosello napoletano di Igort. Dove le pistole fanno pam! pam! su Netflix
Disponibile su Netflix dal primo marzo, “5 È il numero perfetto”, il riuscito film d’esordio del celebre disegnatore sardo, Igort (alias Igor Tuveri), dal suo omonimo graphic novel. Peppino, anziano guappo napoletano (col volto di Toni Servillo) torna in azione per scovare il killer di suo figlio e comincia a rimettere in funzione le sue mani. E le pistole. Quelle che diversamente dai fumetti americani non fanno bang! bang! ma pam! pam! come in una festa di petardi nei quartieri spagnoli, e le sparatorie di Peppino e Totò. Presentato alle Giornate degli Autori 2019 …
Si spara fin dai titoli di testa e si spara per tutti i 100 minuti di 5 È il numero perfetto, film d’esordio di Igort (alias Igor Tuveri). Esordio riuscito – diciamolo subito – come regista, di uno dei più importanti autori di fumetto italiano e internazionale, uno dei pochi ad aver lavorato in Giappone, la patria dei manga.
E non è un caso che nella bellissima mostra Manga – ha chiuso i battenti appena tre giorni fa al British Museum di Londra – faccia bella mostra di sé proprio un’opera di Igort: Quaderni giapponesi, diario grafico del suo soggiorno e lavoro da quelle parti.
Quaderno napoletano è, invece, il suo film (prodotto da Propaganda Italia, Jean Vigo Italia e Rai Cinema, distribuito da 01) che arriva alle veneziane Giornate degli Autori tratto dal graphic novel omonimo (uscì, dopo una lunga gestazione iniziata proprio in Giappone, in cinque albetti nel 1998 e poi fu riunito da Coconino Press in volume nel 2002).
Personaggio napoletano che di più non si può, questo Peppino Lo Cicero, guappo e sicario in pensione che passa le sue giornate a pescare. Ma quando l’amato figlio Nino, emulo camorrista viene ucciso in un agguato nei vicoli di Napoli, Peppino torna in azione per scovare il killer e comincia a rimettere in funzione le sue mani. E le pistole.
«Quando chiedi a un uomo di uccidere un tuo simile devi sapere che ti affidi nelle mani giuste: io ero quelle mani», rivendica orgogliosamente nella sequenza iniziale del film, una lunga discesa di scale sotto una pioggia incessante, un soliloquio della memoria affidato alla voce fuori campo di Toni Servillo, che introduce alla mattanza che si scatenerà tra le famiglie rivali della malavita.
A dargli man forte c’è Totò o’ Macellaio (un fantastico Carlo Buccirosso) e Rita a’ Maestrina (Valeria Golino) che lo ha amato in gioventù e ancora lo ama. Peppino «le mani», Peppino «cinque dita di violenza» (film hongkonghese del 1972 che lanciò in Italia il filone kung-fu, che Peppino va a vedere al cinema Corallo di Napoli), attraversa guarda caso la Napoli del 1972, una Napoli livida, sferzata dalla pioggia.
Se non fosse per i manifesti pubblicitari e le auto d’epoca, se non fosse per luminarie, processioni e madonnine che spuntano agli angoli e nelle nicchie delle case potremmo essere in un noir marsigliese o in una trasferta partenopea alla Simenon. Anche perché il décor e il tono di sfondi, ambienti e scenografie presenti e passate ha più la cifra degli anni Cinquanta che dei Settanta.
Però l’andamento lento e altalenante della memoria, la nostalgia della malavita che fu, la discesa dolente agli Inferi di Orfeo/Peppino si accende e riaccende di improvvise, furiose e interminabili sparatorie. Non siamo in un fumetto americano (ma i giornalini con i supereroi sono ampiamente citati; e non manca l’omaggio a Tex, la cui copia di uno dei primi albi a striscia è incorniciata nella stanzetta del piccolo Nino) e dunque le pistole non fanno bang! bang! ma pam! pam! come in una festa di petardi nei quartieri spagnoli, e le sparatorie di Peppino e Totò, con braccia incrociate e piroette quasi acrobatiche sanno un po’ di Tarantino, anzi, molto di più di certi duelli formato western-spaghetti.
A missione compiuta Peppino sembra placarsi e destinato ad «invecchiare al sole come qualcuno che ha la coscienza a posto», disteso in compagnia di Rita sui lidi dorati e assolati di Papassinas nel Parador Meridionale, una mitica isola tropicale dove Peppino si rifugia, ma la pace raggiunta è solo apparente e il finale svelerà risvolti e retroscena a sorpresa.
Riuscito, abbiamo detto, l’esordio su grande schermo di Igort. E anche qualcosa di più. L’autore sardo (poi “bolognese” ai tempi del Gruppo Valvoline con Mattotti, Brolli, Carpinteri & Co., poi giapponese, e ancora londinese e parigino: se volete saperne di più sulla vita attraversata da Igort, tra musica, fumetti e molto altro leggetevi la sua quasi autobiografia dal titolo My generation, ChiareLettere) confeziona una felice trasposizione del suo fumetto.
Al posto dello sperimentale linguaggio delle sue tavole di allora, quasi espressioniste, tutte virate in bianco, nero e celeste, mette in scena un colorato carosello napoletano (ottima la fotografia di Nicolaj Brüel). Come nel libro la vicenda è divisa in cinque capitoli introdotti da siparietti grafico-scenografici.
Cinque, del resto, è il numero perfetto: due gambe, due braccia e la testa; 2 + 2 + 1 = 5, quanto basta per vivere, formula metamorfica risolta nella tartaruga e nella sua casa, come spiega a un certo punto del film Peppino. Ovvero Toni Servillo, davvero al meglio delle sue risorse attoriali, impersonando l’apparentemente dimesso ex guappo. Caratterizzato da un trucco perfetto con un nasone che sta tra quello di Dick Tracy (altro mito del fumetto noir) e quello di Adolfo Celi.
Nei titoli di testa e di coda animati, affidati a Ivan Cappiello (della rinomata factory partenopea MAD Entertainment) fa una brevissima apparizione la Madonna impersonata da Iaia Forte (apparizioni che nel fumetto originale segnano alcune svolte della vicenda, mentre nel film non ci sono: forse tagliate nella versione finale?).
Una colonna sonora (D-Ross & Startuffo) e svisate alla chitarra in stile Shadows e un po’ morriconiane completano l’atmosfera di un film tutto da vedere e da godere. Ciliegina finale: il cameo dello stesso Igort, nei panni di un passeggero di un pullman, intento a leggere L’Eco di Papassinas, un giornale illustrato (realmente scritto e disegnato da lui e pubblicato dalla sua casa editrice Oblomov). Come fece Hitchcock, sedendosi sul pullman, accanto a Cary Grant in Caccia al ladro.
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