Se il film fa “sbiadire” le immagini dal finestrino

In sala dal 3 ottobre – per 01 – “La ragazza del treno” l’atteso adattamento del best seller di Paula Hawkins, firmato da Tate Taylor.  Non è un thriller memorabile destinato a toccare corde profonde titillando inconsci individuali o collettivi. La recitazione di Emily Blunt, però, è destinata a lasciare un segno…

The Girl On The Train

La ragazza del treno, film di Tate Taylor in sala dal 3 novembre per 01, è un prodotto ben confezionato e ben recitato secondo i canoni hollywoodiani, a prescindere dal libro (leggi la recensione di Elisabetta Pandimiglio) da cui è tratto che avrebbe “tenuto il mondo col fiato sospeso”.

Non è però un thriller memorabile, di quelli che per così dire lavorano sotto traccia. Nonostante l’evidente richiamo al cinema di Hitchcock, con il gioco di specchi fra le protagoniste femminili e il ricorso alla psicanalisi per risalire alle motivazioni, il film non riesce ad andare oltre la superficie né a toccare corde profonde titillando inconsci individuali o collettivi.

Dunque, la ragazza del treno, Rachel, è un’inquieta ed espressiva Emily Blunt, pendolare in una linea extra urbana di New York. Durante i suoi viaggi Rachel è attratta irresistibilmente dalle scene e dai personaggi che fanno la loro fugace comparsa sul terrazzo o nello spiazzo antistante la casa che ogni giorno osserva dal finestrino del treno. La visione finisce per trasformarsi in una vera e propria ossessione, che rimanda Rachel a un passato infelice, pieno di angosce, raptus e amnesie.

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Nella storia che da qui si sviluppa giocano un ruolo importante l’ex marito di Rachel (Justin Theroux), la sua nuova moglie (Rebecca Ferguson, notare il nome di battesimo hitchcockiano) e un’amante (Haley Bennett) che si è inserita tra i due personaggi. Completano il tutto un ambiguo psicanalista (Luke Evans) e la detective Riley (Allison Janney, la migliore del gruppo a parte la Blunt).

Ognuno di questi personaggi, secondo le migliori tradizioni del giallo psicologico, ha uno scheletro da nascondere dell’armadio. E fin qui il gioco regge, costringendo lo spettatore a seguire una trama costruita in modo meccanico, secondo lo schema di un montaggio che procede a ritroso nel tempo (due mesi prima, una settimana prima, e così via) fino alle conclusioni scontate e ultra convenzionali.

Dove il film perde di presa e credibilità è proprio nella parte finale, quando per così dire i personaggi giocano a carte scoperte, senza peraltro che una sceneggiatura ambiziosa ma priva di reale mordente risparmi loro qualche battuta ingenua e fuori registro (una su tutte: “la sera eri sempre stanca”, per giustificare il tradimento).

Tanto rumore per nulla? Sì e no: il film forse deluderà chi ha letto il libro ma soddisferà parzialmente gli amanti del giallo vecchia maniera, purché non si aspettino qualcosa di elettrizzante. La recitazione di Emily Blunt è destinata a lasciare un segno, e la carriera e di Haley Bennett certamente si avvantaggerà di un ruolo sensuale e conturbante che sembra costruito su misura per lei. Ma tutto il resto sarà presto dimenticato, come una di quelle immagini che un viaggiatore distratto osserva dal finestrino del treno in corsa.