L’assalto al cielo di New York del “piccolo” funambolo

Tutti con le vertigini alla Festa dopo la proiezione di “The Walk”, già nelle sale, ricostruzione al cardiopalmo della celebre “passeggiata” di Philippe Petit sospeso su un cavo, tra le Torri Gemelle. Robert Zemeckis, ispirandos al libro dell’acrobata francese, rende omaggio ai classici del “colpo grosso” e alla memoria dell’11 settembre…

Philippe Petit (Joseph Gordon-Levitt) in TriStar Pictures' THE WALK.

“Per sempre”: sta scritto sul passi che Guy Tozzoli, responsabile della progettazione del World Trade Center a New York (ovvero le Torri Gemelle) regala a Philippe Petit perché salga sulla terrazza panoramica delle Torri come e quando vorrà. Succede pochi giorni dopo la sua funambolica traversata su un filo teso tra i due edifici più alti del mondo, avvenuta il 7 agosto del 1974.

“Per sempre” non è stato, come drammaticamente sanno tutti, perché le Torri Gemelle sono state cancellate dalle opere umane (e con esse sono state annientate migliaia di persone) l’11 settembre del 2001. Suona dunque come una profezia carica di sventura questo “per sempre” che Joseph Gordon-Levitt nei panni di Petit pronuncia al termine di The Walk, mentre le immagini indugiano sull’inquadratura delle Twin Towers che si dissolvono nella notte.
Ma il film di Robert Zemeckis, visto alla Festa del Cinema di Roma, non è una metafora del destino delle Due Torri, alle quali, da quel fatidico 11 settembre, sembra legato il destino del mondo. Piuttosto appare come un film sulla sfida umana, sul perseguimento di un sogno o di un’ossessione che abitano il protagonista – il vero Philippe Petit, classe 1949 – fin dall’infanzia. Quella di un ragazzo ribelle e ostinatamente individualista che si arrampica dappertutto, “espulso da cinque scuole per aver borseggiato i miei insegnanti e manipolato carte da gioco sotto il banco”; diventato artista di strada, giocoliere abusivo arrestato spesso e dovunque.

Sono sue parole, riportate nel libro autobiografico Toccare le nuvole (Ponte alle Grazie) da cui il film è tratto e che è la lunga e dattagliata cronaca di come quell’ossessione nasce, cresce e termina nella storica traversata nel cielo di New York. The Walk_Sovra.indd
Nasce nella sala d’attesa di un dentista, sfogliando le pagine di una rivista, dove Petit viene folgorato dalla foto del plastico delle Twin Towers che si stanno costruendo: prende una penna e traccia una linea tra i due tetti che svettano all’altezza di 412 metri, e quel segno sarà il cavo su cui camminerà. Cresce nella minuziosa (il libro è ricco di disegni, schemi e diagrammi che Petit elabora per il suo progetto) e contrastata preparazione del colpo, le coup, come lo definisce il funambolo. Termina (ma dopo l’impresa del Wtc, Petit s’inventerà e compirà altre traversate sul filo dell’abisso) con l’illegale assalto al cielo di New York, ripetuto per sei volte, prima di arrendersi ai poliziotti che lo assediano dalle due terrazze contrapposte delle Torri Gemelle che lui aveva unito con 42 metri di cavo.
The Walk è la spettacolare traduzione in immagini di quanto avvenne realmente (allora fu documentato con poche fotografie da uno dei “complici” di Petit). Un 3D senza eccessi e sbavature che sugli schermi Imax (pochissimi in Italia) mette veramente a dura prova l’equilibrio degli spettatori (anche quelli comodamente seduti e che non soffrono di vertigini) e che ha il suo climax nel finale. La prima parte del film prepara e costruisce con pazienza il “colpo” messo a segno nel finale. E qui il riferimento, almeno d’atmosfera, va ai classici del “colpo grosso” da Topkapi a Ocean’s Eleven alle funamboliche esibizioni dei vari Mission Impossible.

E anche se sappiamo già come andrà a finire (no, non cadrà), il cardiopalmo per Petit/Gordon-Levitt si affaccia nel petto di chi guarda. Il cinema e gli effetti speciali ci aggiungono una vertigine in più. “Quando osservi un funambolo, devi sempre alzare lo sguardo su di lui – ha dichiarato Robert Zemeckis – non hai mai la prospettiva di come è dall’alto della fune…”. Il film, invece, ci porta proprio in cima alla fune a camminare con Philippe.
Joseph Gordon-Levitt (Inception, Batman. Il cavaliere oscuro, il ritorno, Sin City) fornisce una prova egregia (il suo inglese con accento francese della versione originale è perfetto) di recitazione e anche (nonostante gli effetti speciali) di funambolismo (Petit gli ha dato lezioni). A fargli da spalla, oltre Charlotte Le Bon (Annie), c’è Ben Kingley che interpreta Papa Rudy che gli fornirà i rudimenti dell’arte funambolica e lo metterà in guardia dai rischi della caduta.
Dopo il cortometraggio High Wire di Sandi Sissel del 1984 e il documentario Man on Wire di James Marsh, Premio Oscar nel 2009, Zemeckis porta per la terza volta sullo schermo la traversata di Philippe Petit. Lo fa sostanzialmente rispettando lo spirito di quell’impresa e alcune delle suggestioni e riflessioni che il libro Toccare le nuvole ci aveva suscitato ai tempi della sua prima edizione italiana, nel 2003, freschi ancora dell’orrore e dello sgomento dell’11 settenmbre. E lo fa aggiungendo una perla alla sua collana di film che hanno al centro il tema del tempo. Qui è un tempo sospeso nello spazio, un azzardo gravitazionale, una sfida alle convenzioni fisiche e sociali. Che a sfidarle sia un’artista o un pazzo sognatore ha poca importanza perché “chi sogna può muovere le montagne” come fa dire Werner Herzog nel suo film Fitzcarraldo (1982). E non è un caso che Philippe Petit, nel suo libro, renda esplicito omaggio al film e al regista tedesco che raccontò la sfida del protagonista, interpretato dal magnifico Kalus Kinski, che volle far arrampicare una nave su un monte della foresta amazzonica. Il piccolo Petit ha fatto di più, molto di più.