Le donne (lapidate) di Kabul. L’animazione a Cannes si schiera contro gli integralismi

Passato nella sezione Un certain regard, “Les hirondelles de Kaboul”, film d’animazione delle francesi Zabou Breitman e Eléa Gobbé-Mévellec, ispirato all’omonimo bestseller (Mondadori) di Yasmina Khadra, pseudonimo femminile dello scrittore algerino, Mohammed Moulessehoul. Toccante racconto a quattro voci ambientato nella Kabul del ’98 sotto il giogo talebano. Una storia di denuncia, sacrificio e speranza dalla parte delle donne, prime vittime dell’integralismo…

Le strade di Kabul distrutte, le scorribande dei talebani sulle loro jeep, unici padroni della città martoriata, il via vai davanti alla prigione di donne nascoste dal burqa e arrestate, magari soltanto per aver messo delle scarpe bianche. Fino alla lapidazione di una di loro, nella pubblica piazza. Una buca scavata al centro, la vittima messa lì in ginocchio, e il mucchio di sassi che la folla accanita, bambini compresi, comincia a scagliare uno alla volta contro quel “fagotto” turchese che poco a poco si accascia e si tinge di rosso.

Ecco, Les hirondelles de Kaboul, passato a Cannes nella sezione Un certain regard, è uno di quei film d’animazione che da noi non si sarebbero mai fatti. Ma che rimandano, invece, a titoli importanti come Un walzer con Bashir sul massacro di Sabra e Chatila in Libano o il più recente Ancora un giorno sulla guerra di liberazione in Angola, ispirato al reportage del grande scrittore polacco, Ryszard Kapuscinski.

Con quest’ultimo, in particolare, Les hirondelles de Kaboul condivide la derivazione letteraria: l’omonimo bestseller, Le rondini di Kabul (Mondadori) di Yasmina Khadra, nom de plume non per vezzo ma per “autodifesa”, di un uomo.

Sì, Mohammed Moulessehoul, ex ufficiale dell´esercito algerino, classe ’55, che da militare è stato testimone diretto della sanguinosa guerra civile che ha devastato l’Algeria per oltre un decennio (tra il 1991 e il 2002) e che poi ha raccontato da scrittore, prima di gialli e poi di romanzi ambientati nei luoghi più tormentati del pianeta, a cui deve la sua grande fama con oltre 40 milioni di copie vendute nel mondo. E diverse trasposizioni al cinema (L’attentat di Ziad Doueiri, Ce que le jour doit à la nuit di Alexandre Arcady).

A cui si aggiunge quest’ultima che ha avuto una lunga gestazione (il romanzo è del 2002, i diritti sono stati venduti nel 2011) ed è firmata da due donne: l’attrice e regista Zabou Breitman e la disegnatrice Eléa Gobbé-Mévellec.

Attraverso tavole acquerellate, dai colori tenui e dai disegni eleganti, le due autrici francesi mettono in scena il dramma della città afghana distrutta da vent’anni di guerra. Le donne, le prime vittime della violenza talebana, sono il centro del racconto ambientato nel 1998, al clou del regime dei taglia gole.

Ma il respiro della storia si fa più ampio, drammatico e teso, proprio puntando lo sguardo sugli uomini. Mohsen, un giovane istruito e innamoratissimo di sua moglie Zunaira, un tempo avvocato e sostenitrice della causa femminista, che ora arriva anche lui a scagliare la pietra contro la donna lapidata in piazza. E Atiq il guardiano del carcere, con l’amorevole sposa malata terminale di cancro che, al contrario, non riesce più a sopportare la violenza del regime contro le donne, di cui le celle sono piene.

Quattro personaggi, dunque, diversi e simbolici ciascuno a suo modo. Ciascuno alle prese con la propria coscienza e la propria reazione di fronte alla follia dell’integralismo, i cui destini s’incroceranno in un momento cruciale delle loro vite, oggi disperate e ieri felici, come ci rimandano alcuni preziosi flashback della Kabul di un tempo piena di teatri, luci e università.

Les hirondelles de Kaboul, insomma, è un film coraggioso, toccante e schierato che, allo scorso Festival di Annecy, prestigiosa vetrina dell’animazione, ha vinto il premio per la distribuzione. Nelle sale francesi uscirà in settembre, in quelle italiane chissà se mai arriverà.