L’Efebo d’oro a “Poppie Nongena”. Storia di un pugno chiuso, dall’apartheid a Black Lives Matter
Vincitore dell’Efebo d’Oro 2020, “The long journey of Poppie Nongena”, film drammatico a sfondo biografico di Christiaan Olwagen, dall’omonimo romanzo di Elsa Joubert, che alla sua uscita, nel 1978, diventò un caso gettando luce sulla condizione della comunità di colore durante gli anni della segregazione razziale in Sudafrica. Una pellicola che, a partire dal terribile passato dell’apartheid, vuole essere una riflessione sui nostri tempi …
“Un inno alla libertà di pensiero, alla centralità del ruolo della donna e sulla concretezza delle idee”. Questa è la motivazione con la quale l’Efebo d’oro è stato assegnato a The Long Journey of Poppie Nongena di Christiaan Olwagen, film drammatico a sfondo biografico, tratto dall’omonimo libro della scrittrice Elsa Joubert (Il lungo viaggio di Poppie Nongena, Giunti Editore, 1998), che ripercorre le ingiustizie subite e affrontate da una domestica di colore durante gli anni della segregazione razziale in Sudafrica.
L’autrice – venuta a mancare lo scorso giugno a causa del coronavirus – venne avvicinata da Poppie nel 1976, in cerca di aiuto nel caos generato dalle rivolte a Città del Capo: dopo due anni di delicato confronto, i dettagli della sua storia iniziarono ad emergere, e il romanzo venne così portato alla luce. Non appena pubblicato, il libro ebbe un impatto sconvolgente sulla coscienza dei lettori, ed è oggi considerato tra le opere più importanti della letteratura sudafricana, per la lucidità con la quale viene raccontata la condizione della comunità nera, e delle donne in particolare.
Olwagen, regista con una solida formazione teatrale e tra i più apprezzati del cinema afrikaans, aveva già trattato con grande sensibilità il tema dell’apartheid nel precedente Kanarie (2018). Nella nuova pellicola, ha deciso di concentrare la narrazione in un unico anno, estremamente significativo nella vita di Poppie e nella storia del Sudafrica.
È proprio nel 1976, infatti – anno con il quale si chiude il racconto di Joubert -, che ebbe luogo il massacro di Soweto, durante il quale l’intervento della polizia lasciò sull’asfalto centinaia di studenti insorti contro le politiche nazionaliste e razziste degli afrikaner. Da quel momento, i disordini si estesero a macchia d’olio fino a Città del Capo, dove, appunto, si verificò il provvidenziale incontro tra la domestica e la scrittrice.
I rivolgimenti politici vengono filtrati nel film attraverso lo sguardo di Poppie, instancabile lavoratrice, che dedica tutti i suoi sforzi al sostegno della famiglia, cercando di resistere a leggi assurde che la vorrebbero straniera nel suo stesso Paese, e che la costringono a trasferirsi di città in città.
Con un approccio quasi documentaristico, il regista offre uno squarcio sulle complicatissime dinamiche che attraversano la stessa comunità di colore: le molteplici lingue, i violenti scontri generazionali, le spaccature che si aprono tra chi abbraccia il credo cristiano e chi rimane legato ai culti sciamanici. Ispirato, come da lui stesso dichiarato, dal neorealismo italiano di Vittorio De Sica e dal crudo cinema dei fratelli Dardenne, Olwagen costruisce immagini che non indugiano mai al sentimentalismo, ma restituiscono piuttosto tutto il coraggio e la dignità di vite che hanno combattuto, senza mai arrendersi, un sistema dissennato.
Clementine Mosimane, che appare vestita come la lattaia di Vermeer, è eccezionale nel dare anima, corpo, sudore e sangue al personaggio di Poppie: un personaggio che è prima di tutto una madre, come rimarca il bellissimo accostamento con il quadro della Madonna, che la protagonista porta sottobraccio durante le sue peregrinazioni.
Come ha sottolineato il regista nella presentazione al festival siciliano, Poppie Nongena è un film che, a partire dal terribile – e non troppo lontano – passato dall’apartheid, vuole essere una riflessione sui nostri tempi. La storia di Poppie è quella di milioni di profughi che ogni giorno si imbarcano nella speranza di un destino migliore, e il pugno chiuso con cui il film si conclude, è lo stesso che oggi viene portato in alto, ancora una volta, dalle proteste di Black Lives Matter.
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