“Life Guidance”, se essere felici diventa obbligatorio

Alle Giornate degli Autori, “Life Guidance” della regista austriaca di Ruth Mader. Nella società del futuro, in un capitalismo perfetto, Alexander rompe il dettato di regime: verrà seguito da un inviato del governo che impartisce regole di vita, perché la felicità è obbligatoria. Tra Orwell e Ballard, una distopia in tempo di crisi che immagina un domani pericolosamente vicino al nostro presente…

Come bisogna vivere, cosa bisogna pensare? E soprattutto, può un sistema imporre la felicità di Stato? È ambizioso Life Guidance, il film dell’austriaca Ruth Mader presentato alle Giornate degli Autori. Nella società del futuro si è compiuto un capitalismo perfetto, ed è qui che si muove Alexander, lavoratore organico al sistema.

La comunità è composta solo da individui realizzati, efficaci sull’impiego e appagati nella vita (“Questo è ottimale”, si ripete come un mantra): tutti gli altri vengono sedati in strutture adibite all’uopo. Un potere invisibile controlla. Ma Alexander non è felice. Quando lo manifesta al figlio, attraverso un episodio minimo, allora interviene la Life Guidance: l’agenzia governativa che manda Fainmann, suo inviato, con il compito di ripristinare la felicità in Alexander. Di imporre istruzioni per vivere.

La distopia è già al centro del cinema nella crisi, già proietta in avanti il grigio contemporaneo e immagina un domani tanto inquietante quanto vicino, perché conseguenza delle azioni di oggi: è il caso di Wayward Pines, la serie prodotta (anche) da Shyamalan, e dei film di Lanthimos come The Lobster, dove il sistema impone di formare coppie e la resistenza non è migliore dei dominanti.

Ruth Mader si inserisce nell’onda, tra Orwell e Ballard, tra gli altri distopici del Novecento, cesellando un thriller ambiguo e strategico, che procede seguendo la parabola del protagonista scandita dalle musiche incalzanti di Manfred Plessl. Così Alexander (un impenetrabile Fritz Karl, volto di marmo) viene pedinato, osservato con la famiglia, violato nella sua intimità. Più che gli atti, ridotti al minimo, al solito è il pensiero a sabotare l’organizzazione di regime. In una sorta di negativo della Dichiarazione di indipendenza, qui il diritto alla felicità viene trasformato in obbligo: nell’incipit la lacrima che si disegna sul suo volto è dunque inaccettabile.

L’inviato della Life Guidance aiuta a vivere, corregge le deviazioni dal giusto, esegue il disegno statale, incarna insomma la concretazione del regime: è nemico e doppio del protagonista, vigila sulla corretta interpretazione della vita a costo di imporla. L’autrice si appoggia sul simbolo, come il coniglio elettronico che parla a nome del sistema, che dice ciò che bisogna dire; inchioda le figure in ambienti asettici con abiti che sono divise uniformanti, come avviene nei luoghi di lavoro; piega la sua fantascienza classica a racconto minimalista che diviene metafora universale.

Per controllare i cittadini si proiettano dei film che sono raffigurazioni dei rispettivi desideri e paure: ogni pensiero, anche il più recondito e inconfessato, finisce su grande schermo, raccolto in un vasto archivio audiovisivo con pellicole che riguardano tutti. Nella proiezione del proprio sentire interiore sta l’apoteosi del controllo, sottoforma di immagine, perché nulla è più ricattatorio di mostrare la sostanza di sé, nuda e senza filtri.

Life Guidance inscena una dittatura sociale: parla di come siamo costretti a vivere, dello iato tra l’esterno e l’interno, della differenza tra la singolarità e ciò che esige il sistema. È debitore dello strato cine-letterario di riferimento, naturalmente, ma anche in grado di offrire una personalità: per questo nell’epoca dell’annullamento del pensiero, dell’opinione seriale da social network si rivela fertile distopia, messa in discussione delle nostre abitudini indotte. Dice la regista: «La fine della libertà si realizza in un contesto a noi fin troppo familiare: la democrazia liberale, il capitalismo finanziario e l’élite tecnocratica vigente. Tutti i presupposti sono già realtà».


Emanuele Di Nicola

giornalista e critico cinematografico


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