Tortorella, la libertà di essere uguali

“Un personale e libero giudizio” è il doc di Uliano Paolozzi Balestrini presentato alla Casa del cinema di Roma per festeggiare i 90 anni di Aldo Tortorella. Un raffinato intellettuale prestato alla politica, per anni dirigente del Pci, accanto a Enrico Berlinguer…

showimg2-2.cgi

È un titolo complicato, tratto da un saggio filosofico di Spinoza: Un personale e libero giudizio il titolo del doc-film dedicato ai 90 anni di Aldo Tortorella, un raffinato intellettuale prestato alla politica, si direbbe oggi, per anni dirigente del Pci, accanto a Enrico Berlinguer.

Quel brano di Spinoza riassume bene i tratti caratteristici del personaggio: “Nessuno può essere costretto dalla violenza o dalle leggi ad essere felice, per conseguire tale stato sono invece necessari un’amorevole e fraterna esortazione, una buona educazione e soprattutto un personale e libero giudizio”.

L’iniziativa del film nasce da un’idea di Uliano Paolozzi Balestrini e della sua compagna Francesca Bracci, giovane e brava montatrice. Sono stati utilizzati brani di una lunga intervista a Tortorella e materiali  dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.

Il tutto arricchito da un interloquire tra il novantenne e Alberto Leiss, già redattore de l’Unità, oggi collaboratore de il Manifesto. Mentre le musiche che accompagnano l’opera sono composte ed eseguite da Michele Leiss. Inoltre tre soggetti (Associazione Berlinguer, Fondazione Diesse di Genova e Fondazione Quercioli di Milano) si sono impegnati per un finanziamento.

L’opera è stata presentata in apertura di un incontro dedicato al novantenne Tortorella presso la Casa del cinema di Roma. Un incontro ricco di spunti, tra ricordi e riflessioni politiche e in qualche modo dedicato alle “avventure della sinistra”, ieri e oggi.

Il film si dipana appunto, tra queste “avventure”  con un racconto avvincente che intervalla, con scioltezza, immagini e commenti del protagonista. Ne scaturisce l’immagine di un personaggio non certo “di marmo”, ma ricco di intuizioni e proposte di rinnovamento.

Scopriamo o riscopriamo così la sua apertura, di fronte a un Pci esitante, alla vigilia del referendum sul divorzio, così come rispetto al pensiero femminista della “differenza”. Mentre confessa una sua voglia di abbandonare, dopo la tragedia ungherese del 1956. Lui ascolta, in quella occasione, i consigli di Banfi e Ingrao. Del resto, racconta, non ha usato mai il termine “paesi socialisti”, limitandosi a chiamarli “paesi in cui per la prima volta si è sperimentata la proprietà sociale dei mezzi di produzione”.

Un dirigente rigoroso, con profonde istanze di rinnovamento, ma non disposto a lasciare il partito rischiando di essere confuso con “l’altra parte”. Apertura e disciplina, insomma. Caratteristiche formate fin dall’inizio della sua attività politica, quando partecipa alla Resistenza in Liguria e deve lasciare il combattimento nelle strade per dirigere l’Unità.

Sono le tappe “avventurose”, della sua lunga esistenza. Come quando travestito da infermiera  riesce a fuggire dalle carceri fasciste. Lo ritroviamo a Milano,  nel palazzo dei giornali in piazza Cavour, dove lo ha conosciuto anche il sottoscritto, insieme a Clemente Azzini, Piero Campisi, Anna Maria Rodari.

Poi eccolo accanto a Berlinguer nella segreteria del Pci dopo essere stato responsabile della sezione culturale. Anche qui nel segno dell’apertura in campo musicale con Luigi Nono e nel campo delle arti figurative, per movimenti che andavano oltre  il neorealismo.

Vince anche i dubbi del Pci nei confronti di Pasolini organizzando una commemorazione con la drammatica impresa del trasporto del feretro lungo le scale di un palazzo romano.

La storia scorre fino alla svolta di Occhetto, con la convinzione che non servisse cambiare il nome, ma che bisognasse innovare i contenuti. Osserva così che la mozione del No, da lui redatta con altri, contenesse proposte ben più innovative rispetto alla mozione del Si.

Aldo Tortorella, comunque, finita quella grande storia non ha aderito a nessuna altra formazione politica, ha fondato un’associazione “per il rinnovamento della sinistra” (oggi guidata da Alfiero Grandi) e ha continuato a dirigere una rivista di grande qualità come Critica Marxista.

È un dirigente che gode di un immutato prestigio. Lo dimostra la folla composita che lo ha salutato alla Casa del cinema e che andava da Bertinotti a Veltroni, a Livia Turco, Maria Luisa Boccia , Cuperlo, Landini, Fassina, Ferrero, Vincenzo Vita, Luciana Castellina, Guido Liguori, Citto Maselli, Valentino Parlato, Cesare Salvi, Mattioli, Sposetti, Ciofi, Marco Fumagalli e molti altri.

Una folla affettuosa salutata dallo stesso Tortorella con parole non di circostanza dedicate a una sinistra non da “ricostruire” ma da “costruire” ex novo. Con un connotato ben sottolineato da Piero Di Siena in un articolo sul Manifesto e che si intreccia con il film di Iuliano Paolozzi.

È il tema della libertà. “Ma qual è” scrive Di Siena, “il filo rosso che tiene insieme la sua lunga e complessa esperienza politica? A ben vedere è la ricerca incessante del primato della libertà dell’individuo sopra ogni altra cosa. È, infatti, per Tortorella la piena realizzazione della libertà a fondare l’eguaglianza e non viceversa. E ciò rappresenta per la storia e la cultura del movimento operaio una vera e propria rivoluzione copernicana”.