Liliana Cavani: elogio dell’Italia che non si arrende

«Il modo in cui stiamo affrontando questa emergenza è qualcosa di grande, di esempio per tutti»: lo afferma, dalla sua casa nel quartiere romano di Trastevere, la grande regista Liliana Cavani.

Se lo dice lei ci possiamo fidare: classe 1933, l’autrice non solo ha vissuto direttamente alcuni dei momenti più bui della storia italiana ed europea (pensiamo alla Seconda Guerra Mondiale, la cui difficile elaborazione era un tema dello “scandaloso” Il portiere di notte), ma ha anche offerto uno degli esempi più visionari di distopia apocalittica per il nostro cinema, col suo adattamento dell’Antigone sofoclea I cannibali (1970).

E qualora fossimo tentati, nell’attuale epidemia, di fare accostamenti con tragedie passate o (s)cadere in cupe fantasie pessimistiche, la regista ha esortato non solo a credere nella possibilità di risollevarci tutti come comunità, ma ad accorgerci di quante manifestazioni grandi e piccole di vitalità culturale e solidarietà stanno già avvenendo, malgrado tutto: «chiamiamo le persone lontane e non le facciamo sentire sole, applaudiamo ai nostri medici e infermieri e portiamo loro fiori e pasti, suoniamo alle finestre».

Non per nulla la Cavani ha spesso posto l’attenzione (anche) sui modelli positivi della nostra storia culturale: dal messaggio di amore universale offerto da Francesco d’Assisi (cui la regista ha dedicato due lungometraggi e una miniserie tv fra il 1966 e il 2014) al Galileo (1968) che sfida il dogmatismo religioso in nome della verità scientifica.

«Il nostro Rinascimento è qualcosa che torna sempre fuori», ha aggiunto l’autrice, riservando ulteriori parole di affetto ed elogio per la sua città d’adozione, dove abita dai tempi degli studi al Centro Sperimentale di Cinematografia negli anni Sessanta: «Stiamo reagendo con il sorriso, pronti a salutarci dalle finestre, a respirare pur in casa la grande bellezza di Roma». Eppur (l’Italia) si muove, insomma.