È morta Lorenza Mazzetti. Artista di genio tra Einstein e il Free cinema inglese
È morta a Roma a 92 anni Lorenza Mazzetti, regista, scrittrice e pittrice, nipote di Einstein e fondatrice del Free cinema inglese. La sua è stata una vita “spericolata”che ha attraversato la storia del Novecento, a partire da quella tragedia che le ha segnato l’esistenza: da bambina ha assisitito alla strage della sua famiglia per mano nazista. Come ha raccontato nel suo primo romanzo, “Il cielo cade”, diventato anche un film per la regia dei fratelli Frazzi. La ricordiamo con questa intervista del 2015 quando ha ricevuto il premio Prolo alla carriera …
L’ultima sorpresa l’ha riservata l’altra sera ai microfoni di Hollywood Party annunciando di aver identificato l’assassino della sua famiglia. Aggiungendo che è ancora vivo e che ha contattato il centro Wiesenthal per dargli la caccia.
Lorenza Mazzetti è così: inarrestabile, come la sua vita “spericolata”che ha attraversato la storia del Novecento, a partire da quella tragedia che le ha segnato l’esistenza: nipote di Albert Einstein, Lorenza bambina ha assisitito alla strage della sua famiglia per mano nazista.
A raccontarlo, ancora col cuore in gola, è David Grieco nel corso della consegna del premio Prolo alla carriera (Festival di Torino 2015) a questa signora ultra ottantenne con la vitalità di una ragazzina, che la vita gli ha fatto incontrare da molto piccolo: è stata la compagna di suo padre, quindi “matrigna”, secondo la lingua italiana difettosa in fatto di affetti “allargati”. Una “matrigna” a cui da bambino tirava addosso i cerini accesi e legava alla sedia, ma che da grande, confessa – e pure commosso – gli ha insegnato “la relatività del dolore”. E non per un facile gioco linguistico legato alla parentela con Einstein.
Quella strage vissuta nell’infanzia, per Lorenza Mazzetti, infatti, è stata il metro e il tormento di tutta una vita. Tanto che ancora oggi, di fronte ai venti di guerra dell’integralismo, non esita a trovare minacciose analogie col passato, mettendo in guardia: “Nella persecuzione contro gli ebrei – dice – ha pesato il ruolo di demonizzazione messo in atto dalla Chiesa cattolica. Accusare un popolo di deicidio ha significato condannarlo in eterno. È stata una istigazione a delinquere di cui la chiesa ancora non ha chiesto scusa. Vorrei che Bergoglio riconoscesse questa complicità col nazismo, per disinnescare questa guerra tra religioni in cui adesso i “mostri” siamo diventati noi, da perseguitare in nome di Allah”.
Parla a ruota libera Lorenza Mazzetti, davanti alle tante domande dei giornalisti. Dice di aver visto recentemente un film italiano, “bello” che è Non essere cattivo, l’opera postuma di Caligari. Ma soprattutto racconta di questa sua lunga vita che ha cambiato così tante volte passando dal cinema, alla letteratura, alla psicoanalisi come in una sorta di perenne elaborazione del lutto, in cui, ad ogni passaggio, “senza cercare nulla”, dice, le cose sono accadute.
Come quando neanche ventenne è arrivata a Londra sapendo di essere ricca e si è trovata senza un soldo dopo aver scoperto che il tutore del patrimonio di famiglia si era mangiato tutto. Come quando, stanca di fare la cameriera, si è voluta iscrivere all’università gridando in faccia al direttore che doveva prenderla anche se non aveva denaro “perché sono un genio”, frase diventata leggenda che ripete tutt’ora.
Come quando, entrata nell’istituto ha rubato la cinepresa e fatto dei debiti per girare il suo primo corto ispirato alle Metamorfosi di Kafka (K) che, diventando un piccolo caso, l’ha salvata dalla prigione. E le ha permesso di fondare il Free cinema, insieme a Lindsay Anderson, Tony Richardson e Karel Reisz, la generazione degli “arrabbiati” che di lì a poco avrebbero rivoluzionato il cinema inglese contestando l’upper class.
“Sono loro che dopo K mi hanno voluto conoscere – racconta ancora Lorenza – e così Anderson mi ha aiutato nel secondo film, Togheter”, del ’56, storia di due operai sordomuti che vivono nella East End di Londra e che lo stesso anno vince a Cannes, in rappresentanza del Free cinema. “Un cinema libero da ogni costrizione – spiega – totalmente indipendente, il cui messaggio fondamentale era fare quello che si vuole”.
Eppure, nonostante il fermento e i riconoscimenti, Lorenza Mazzetti decide di tornare in Italia. Anche se manterrà costante l’amicizia con gli “arrabbiati” inglesi : “Anderson è sempre stato un burbero – ricorda – si comportava da colonnello, ma davanti alle polpette al sugo si trasformava e si metteva a cantare”.
Ed è in Italia che comincia la sua vita da scrittrice. Grazie all’amicizia con Zavattini riesce a pubblicare il suo primo romanzo: Il cielo cade, storia del fascismo, delle persecuzioni razziali e dell’orrore della guerra viste attraverso lo sguardo di una ragazzina. Anche questo suo primo romanzo, come il suo primo film diventa un caso e vince il premio Viareggio nel ’62. Per diventare anche un film, molti anni dopo (nel 2000), per la regia dei fratelli Frazzi con Isabella Rossellini.
Intanto nella vita privata c’è l’incontro con Bruno Grieco, figlio di quel Ruggero fondatore del Partito comunista italiano insieme a Bordiga e Gramsci. “Il mio rapporto col comunismo è stato molto bello – dice ancora Lorenza -. Eravamo subito dopo la guerra, c’era stata la resistenza e come si faceva a non essere comunisti? Mi ricordo che la nostra casa era sempre piena di operai e contadini, come una parrocchietta. E io che leggevo Jung mi dovevo chiudere in bagno”.
E sì perché poi nella sua vita è arrivata la psicoanalisi, la Gestalt e la sua rubrica sui sogni sulle pagine di Vie Nuove, dove scriveva anche Pasolini, altro amico di famiglia. Un altro paio di romanzi (Con rabbia nel ’63, Uccidi il padre e la madre nel ’69) e poi la pittura e ancora il teatro delle marionette. Fino all’ultimo, recente Diario londinese (2014), in cui l’artista completa la sua autobiografia.
Unica donna in un mondo di soli uomini Lorenza Mazzetti non ama però sentirsi etichettata o rinchiusa negli steccati delle battaglie femministe. Anzi dice: “ero la sola donna e mi innamoravo di tutti”.
Fatto sta che di rivoluzioni Lorenza ne ha fatte tante. E fosse stata un uomo, è sicuro, il suo ritratto starebbe sulle magliette come la faccia di Che Guevara. Invece la popolarità, quella caciarona dei media, per lei non è mai arrivata.
Bello dunque che Torino la celebri con un premio alla carriera. E bello anche che Steve Della Casa e Francesco Frisari le abbiano dedicato il doc, Perché sono un genio. Su questo, del resto, dopo aver ascoltato il racconto della sua vita siamo tutti d’accordo, no?
A David Grieco e alla sua famiglia l’abbraccio della nostra redazione.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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