Louise, il cartone disegnato con l’anima

L’anti-cinepanettone. L’anti-cartoon natalizio. È il magnifico “Le stagioni di Louise”  (in sala per I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection) del campione dell’animazione francese Jean-François Laguionie. Una spiaggia d’inverno, una anziana signora sola (con la splendida voce di Piera Degli Esposti), un cagnolino, i rimpianti, i ricordi e le domande di una vita. Non un cartone per bambini…

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Lasciate perdere i cinepanettoni (con o senza canditi) e pure i «classici» cartoon natalizi mielosi e caramellosi come il torrone. E andate a vedere Le stagioni di Louise (Louise en hiver) di Jean-François Laguionie (distribuito in Italia da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection), cartone animato certo, ma che vuol dire disegnato con l’anima.

E andateci voi adulti, senza obbligatoriamente portarci i bambini, perché (come accade sempre più spesso) non è un cartoon per bambini. Ma se proprio non ne potete fare a meno di lasciarli a casa, questa volta sono i vostri figli e nipoti che vi devono accompagnare.

Louise è una settantacinquenne che trascorre le vacanze estive sulla spiaggia di Billigen – una spiaggia che cita espressamente quelle tra Bretagna e Normandia, ricche di dune e scandite da profonde maree – assediate in estate da villeggianti festosi e un po’ rumorosi (ma non più degli striduli gabbiani). Louise li accetta con un po’ di fastidio e bonaria condiscendenza e tiene un diario in cui annota pensieri e riflessioni. Poi, alla fine dell’estate, arriva il giorno della partenza ma Louise perde l’ultimo treno della sera, che è anche l’ultimo della stagione per tornare in città. Resta così sola nella piccola località balneare mentre incombe una tempesta e una nuova e più alta marea.

Dopo tre giorni torna il bel tempo ma la cittadina è completamente deserta, i negozi chiusi, le case e il Grand Hotel de la Plage sbarrati. Louise non si perde d’animo e inizia a organizzarsi per affrontare la situazione in cui si è venuta a trovare: costruisce un capanno; usa la doccia della spiaggia davanti all’hotel deserto; pesca i granchi lasciati a riva dalla marea.

Sembra un Robinson Crusoe che incontrerà anche il suo Venerdì, che in realtà è un bastardino dal pelo arruffato che lei avrebbe voluto chiamare Mercoledì (ma ripiegherà sul più «canino» nomignolo di Pepe). Come Robinson costruisce il suo ambiente usando i rifiuti e i relitti di una enorme discarica generata dal reflusso delle maree: vecchi materassi, poltrone sfondate, collezioni di riviste. Sono, questi e altri, oggetti di altre memorie che risveglieranno la sua personale memoria con cui dovrà confrontarsi nelle notti solitarie o nelle lunghe passeggiate lungo la battigia e tra le dune, dialogando con Pepe che possiede il misterioso dono di parlare.

Passano l’autunno, l’inverno, le feste di Natale e di Pasqua in occasione delle quali Louise spera che tornino i villeggianti. Ma nulla di nuovo succede, a parte qualche rapido passaggio di un elicottero al quale lei manda segnali di aiuto disegnando un enorme «perché?» sulla sabbia. E s’interroga, la nostra cara Louise, sul perché sia stata abbandonata e nessuno torni da lei: né parenti, né villeggianti.

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Forse è a causa della sua vecchiezza – una parola che non esiste nemmeno sul dizionario, commenta tra sé e sé – quella vecchiezza che gli altri sembrano temere come contagiosa? O forse è per quanto è successo nella sua vita: un’infanzia segnata da una madre egoista e da una nonna arcigna e dura alla quale era stata affidata? O forse la causa sta nei sensi di colpa – piccoli quanto piccoli sono i peccati che li avrebbero generati, come un primo adolescenziale amore «tradito» – che i giudici (con le sembianze da uccellacci di uno dei sogni di Louise) le rinfacciano in un processo che sembra quello a cui fu sottoposto Pinocchio e che usano come capi d’imputazione per condannarla alla solitudine? Ma una vita felice, ribatte semplicemente il suo avvocato difensore, non ha bisogno di ricordare.

Ecco, forse, il senso vero di questa straordinaria opera di Laguionie  sta qui e per capire a pieno il film bisogna non farsi tentare dalle facili metafore che la storia e le immagini potrebbero suggerire: da quella della vecchiaia, della perdita della memoria, dell’abbandono, della morte o di un probabile suicidio. Piuttosto vale di più una buona dose di antipsicologismo che invita – nei consigli del cane parlante e dello scheletro di Tom, un soldato paracadutista, morto appeso a un albero e che Louise ogni tanto va a trovare – a un pragmatico «lascia che sia», liberandosi definitivamente dai brutti ricordi e dai sensi di colpa, e affrontando la vecchiaia per quello che è, ricordando ciò che di bello si è vissuto.

Allievo del maestro dell’animazione francese  Paul Grimault, Jean François Laguionie, autore di bellissimi corti e lungometraggi animati (da La Demoiselle et le violoncelliste a La traversée de l’Atlantique à la rame, da Le Château des singes a Le Tableau) sforna un gioiello di arte poetica attraverso i suoi bellissimi disegni e acquarelli che fa muovere con un’animazione fluida che scivola su sfondi che lasciano trasparire la trama della carta.

La colonna sonora alterna partiture orchestrali (Pascal Le Pennec con l’orchestra Sinfonica di Bretagna) e teneri e blueseggianti assoli di piano di Pierre Kelner. A dare voce (italiana) ai pensieri e agli interrogativi di Louise è la magnifica e intensa voce di Piera Degli Esposti che rende giustizia di tanti abborracciati doppiaggi cartooneschi, spesso affidati a nomi di «star» canzonettistiche-televisive del momento.