Metti un architetto al cinema. Il nuovo libro di Ghisi Grütter

Oltre 150 film visti e commentati con occhio attento a spazi urbani, luoghi e architetture. È il terzo volume di “Al cinema con l’architetto” (Timia Edizioni) di Ghisi Grütter, architetto e professore associato presso il Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre. Nonché appassionata di cinema e collaboratrice di questa pagine web. Il libro sarà presentato sabato 6 aprile (ore 11) alla Casa del cinema di Roma, insieme alla stessa autrice, Giorgio Gosetti, Wilma Labate, Italo Moscati e Donatella Barazzetti…

«Più si vede la città e più il film mi interessa». Le ragioni di una passione, Ghisi Grütter le dichiara fin dall’introduzione a questo suo terzo volume di Al cinema con l’architetto (Timia Edizioni), film visti e commentati – sono ben 150 quelli qui raccolti – dall’autrice che, appunto, architetto lo è (è anche professore associato presso il Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre).

Così è «l’occhio dell’architetto» che diventa strumento del suo esercizio critico: oltre lo schermo, oltre il proscenio degli attori e dei protagonisti, oltre le vicende e gli accadimenti, lo sguardo indaga e si appunta sulle architetture (esterni e interni). Siano la New York degli Anni Cinquanta di Carol o le coeve villette suburbane di Lontano dal Paradiso (entrambi i film di Todd Haynes), siano la Tokyo di Father & Son di Kore’eda Hirokazu, la capitale belga di Dio esiste e vive a Bruxelles di Jaco van Dormael o la Roma versione 007 di Spectre di Sam Mendes; oppure le architetture «naturali» dell’Anatolia nel film Winter sleep di Nuri Bilge Ceylan o i ghiacci di In ordine di sparizione diretto da Hans Peter Moland: tutti «sfondi» da decifrare, far agire e agiti dalle narrazioni.

Le recensioni sono secche ed essenziali, poco «cinematografiche»: del resto l’autrice non è una critica di professione ma l’attenzione a certi dettagli è una sua particolarità. Così alcune notazioni sugli interni wrightiani, sulle case costruite in Shingle style, su luoghi e non luoghi, su arredi minimalisti e claustrofobie urbane sono certamente frutto dell’«occhio dell’architetto».

Semmai – a nostro parere – l’autrice avrebbe potuto osare un po’ di più proprio sul coté «architettonico, magari trascurando altre notazioni su aspetti psicologici e relazionali dei protagonisti, pure ben colti da Ghisi Grütter, e che la postfazione al libro (firmata da Donatella Barazzetti) sottolinea.