Mio fratello, lo sceneggiatore campione di Texas Holdem

Ascesa e rapida caduta di Vittorio Ferragamo, sceneggiatore deluso dal cinema che si dà al gioco d’azzardo online. È “L’animale notturno” (Giunti Editore),  secondo romanzo di Andrea Piva, fratello del regista Alessandro e sceneggiatore di “LaCapagira” e “Mio cognato”. Oggi, effettivamente, uno dei più famosi giocatori italiani di Texas Holdem. Non vi sembra un film?…

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25 settembre 2006, Roma. Il tempo è schifoso e la vita di Vittorio è un vero disastro. Quale momento di maggiore, drammatica urgenza per decidere di cambiare tutto, ma proprio tutto, immerso com’è il nostro nel totale precariato esistenziale, del tipo “senza via d’uscita”? In quel preciso rovinoso ed illuminante istante realizza con nettezza: l’unica cosa che gli importa davvero è fare soldi. E non importa come.

Chi racconta è Vittorio Ferragamo (o Andrea Piva, dato che la sovrapposizione è inevitabile), uno sceneggiatore del sud approdato a Roma, con un buon successo alle spalle e tante idee. Un giovane scrittore, di vaglio, focoso (ha pure rotto con un pugno un naso ad un regista), che insieme ad una pletora di coetanei sta lentamente affogando nelle maleodoranti sabbie mobili del cinema italiano: promesse, feste, incontri con faccendieri vari, progetti, pseudo produttori e soprattutto…  niente soldi. La vita fino a quel settembre 2006 gli è andata avanti fra party, droga, sesso, gente del giro, agenti uno più “sola” di un altro, registi poco stimabili. Vittorio, letteralmente, non ne può più!

Se qualcuno avesse voglia di un ritratto non minimal, non scioccamente rassicurante, non didascalico, fuor di catalogo di certa Roma e di certi italiani (e sarebbe ora!) ecco allora il bel romanzo, L’animale notturno di Andrea Piva (fratello del regista Alessandro, sceneggiatore de LaCapagira e Mio cognato e per Edoardo Winspeare di Galantuomini) che si propone come “incubatore” per un film che straccerebbe tante convenzioni per, udite udite, raccontare il nostro paese fin dentro il midollo, attraverso la parabola filiforme ed univoca di un ragazzo testardo che tenta la vita della fortuna, senza saper per dove la dea bendata passi. Senza emigrare e senza preconcetti. Una storia fondata sul filo conduttore del “denaro”.

Dal libro esce fuori una Roma a matrioska, a foglie di carciofo. Una Roma nella quale il passato, che non è mai morto anche se sa di ragnatela, convive col contemporaneo più nuovo di zecca. E dove, forse, anche il nuovo di zecca ambisce ad essere riconosciuto e blasonato, a divenire magari “superato” ma benestante.

Per fare soldi bisogna cominciare a spenderne, come se si avessero, si dice Vittorio all’improvviso. E allora, per dare una “svolta”, per prima cosa affitta una casa che non si può permettere, al centro, sicuro che, costretto a pagare l’affitto, qualcosa dovrà pure inventarsi. Le cose poi vanno davvero così: miracolo della letteratura, del cinema, di quando finalmente “si gira pagina”.

La Roma dove s’insedia sembra chiusa in una capsula temporale, nella quale vengono a galla, quasi come ologrammi, ambienti nobili e misteriosi, al riparo dalla crisi sociale che morde, e che si manifesta, in tanti flash, non appena si esca dal portone di quegli austeri ed extraterritoriali palazzi.

La conoscenza casuale, al “baretto” sotto casa, di un bislacco “senatore” a riposo, napoletano, che, assistito dalla badante, gioca forsennatamente alle slot machine, gli dischiude un mondo imprevisto. Il senatore, che sembra un po’ il De Sica del Conte Max, per signorilità e disposizione a dilapidare capitali senza battere ciglio, lo ingaggia: 5000 euro al mese al pomeriggio dalle 4 alle 7 per giocare alla “ruota”, alla roulette, on line. Ha bisogno di un “assistente” perché di computer non ne capisce nulla e Vittorio si presta molto volentieri.

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Alla lunga però, Vittorio non ha proprio l’aria dello spettatore passivo. Presto comincia a giocare anche per proprio conto, ma a Texas Holdem, dove il giocatore se bravo ha la possibilità di vincere, e non solo di farsi spennare come avviene alla roulette. Al nuovo gioco gli capita anche di vincere qualcosina e cerca così di persuadere il pervicace senatore ad abbandonare la “ruota”.

Con la lentezza e la ponderazione necessaria, il senatore alla fine approva. Quest’ultimo ha nel frattempo fatto un altro acquisto per la loro “squadra”: un suo amico, ex professore universitario, ciclotimico, grande esperto della “teoria dei giochi”. In pochi giorni il senatore e il professore hanno “studiato” un milione e mezzo di partite on line ed ora espongono le loro risultanze a Vittorio: c’è un metodo probabilistico che, nel tempo, garantisce vincite al Texas Holdem. Vittorio è scettico, ma i risultati sembrano dare ragione ai vecchietti: “I giorni seguenti sono giorni di frenesia e di lavoro disperato in cui io mi sento per la prima volta nella vita parte di un qualcosa e non un atomo impazzito in perpetua distruttiva collusione con altri atomi impazziti”, racconta Vittorio; e più avanti: “le nostre fatiche non dovranno farei conti col giudizio di nessun pubblico e si confronteranno in modo diretto solo con i numeri, come un’impresa scientifica”.

Il lavoro di Vittorio da pomeridiano diviene notturno, per intercettare quanti più tornei si può. Tutto va al meglio: le teorie funzionano, ed arrivano anche le vincite. Sulle teorie c’è da perderci la testa, sia di Vittorio che del lettore, ma è meglio considerarle per quello che sono: un contorno matematico all’avventura umana di Vittorio. Lo ribadisce l’autore: il libro non è un trattato di “strategia pokeristica”, ma “solo” il racconto di una vita…

Come ogni buon trattato di sceneggiatura consiglia, succede poi “qualcosa”, senza anticipare troppo, insomma un “disastro” che induce il terzetto a ritirarsi dal gioco. Il gruppo si scioglie, ma Vittorio ha ormai trovato l’ispirazione, quella che lo porta a divenire in breve un giocatore professionista di Texas Holdem, in tornei on line e dal vivo.

Il “demone” lo ha ormai preso. Il rischio aumenta, con l’adrenalina che va a mille: “In due ore di follia mi sono giocato, a scelta, una Ferrari 360 Modena, una Porsche 911 Carrera, due case di mia madre a Rossano, cinquecento dei miei motorini, un buon aereo da diporto. Ma il modo più efficace che ho trovato di porla è un altro ancora: in qualche ora di delirio io sottoscritto Ferragamo Vittorio mi sono giocato a carte dieci anni di stipendio di mio padre”.

Ma, rischio e considerazioni morali a parte, Vittorio porta a casa tanti soldi, successo, gratificazione. È un uomo rigenerato. Ha trovato una sua strada. Cinica, ma tutta sua.

Alla fine nel racconto, dopo il denaro ed il successo, emerge in lui anche un poco di nostalgia per il mondo del cinema e un poco di frustrazione per la propria solitudine. È però poco più che un “riflesso condizionato”. Il cinema che gli manca è quel  luogo che credeva fosse quello della “passione” più coinvolgente. Non è così. Almeno a queste latitudini e in questa data situazione sociale e culturale. Almeno nella sua esperienza. Il cinema lo attrae ancora, ma non più il “fare” cinema (almeno sembra). Dice, più o meno: gli sceneggiatori, anche quelli bravi, sembrano nati morti, ma la gente del cinema, i non creativi, quelli che hanno vissuto, hanno mondi da raccontarti.

Tutto sommato, sembra un “arrivederci” quello di Vittorio (Andrea Piva) al cinema. Un “prima o poi ci rincontreremo”. Chissà, forse se le “carte” della prossima chance che offrirà il fato saranno quelle “giuste” andrà proprio così… Nel frattempo lo sceneggiatore Andrea Piva giunto al suo secondo romanzo (dopo Apocalisse da camera) è divenuto uno dei più famosi giocatori italiani di Texas Holdem. Lo dicevamo: Andrea Piva (Vittorio Ferragamo) non è uno che sa stare con “le mani in mano”…