Nanni Moretti e la forza della condivisione (anche online). Su Instagram il corto sulla malattia

Pubblicato su Instagram Autobiografia dell’uomo mascherato, in cui Nanni Moretti condivide la sua seconda battaglia contro il tumore. Un cortometraggio in sei parti che richiama Caro diario.

“Senta Moretti, è la seconda volta che le succede nella vita. Cosa ha imparato da queste esperienze?”.
“Nulla, assolutamente nulla”.

Questo dialogo, più amaro che ironico, Nanni Moretti lo ha scelto come didascalia per l’ultima parte del suo cortometraggio Autobiografia dell’uomo mascherato. Un dialogo che è un po’ l’opposto di quando in Caro Diario diceva guidando, in quel caso con più ironia che amarezza, “se dipende da me, sono sicuro che non ce la farò”.

Il filo che lega il film del 1993 e questo cortometraggio è quello della battaglia contro il tumore, anzi delle due battaglie che Moretti ha dovuto affrontare e che è riuscito a vincere. Con Caro diario si era compiuta una rivoluzione copernicana nella sua filmografia, passare dal personaggio Michele Apicella (autobiografico, certo, ma ugualmente fittizio), a Nanni. Fu in quel film, intimo già solo nel titolo, che manifestò definitivamente quella che poi sarebbe diventata una delle cifre più apprezzate del suo cinema: la volontà di condividere.

Nonostante più di venticinque anni, quella volontà non si è affievolita. È passata al racconto della nascita di suo figlio Pietro in Aprile a quello del dolore per la perdita della madre in Mia madre. Ma se oggi il verbo condividere sembra essere appannaggio egemonico dei social network, bisognerà adattarsi. Ed ecco dunque che le sei parti che compongono Autobiografia dell’uomo mascherato sono state pubblicate, a piccole dosi, sulla pagina Instagram di Moretti.

Il cortometraggio era stato presentato al pubblico del Nuovo Sacher già qualche anno fa, prima della proiezione dei film in programmazione. Poi il regista aveva deciso di mostrarlo a sorpresa durante un incontro alla Festa del Cinema di Roma, scatenando la reazione entusiasta del pubblico.

Le sei parti sono, nell’ordine: la città, il trasloco, le prove, il dibattito, il ballo e il finale. In tutte le prime cinque gli eventi del titolo sono attraversati, apparentemente senza conseguenze, da una figura con una maschera bianca, simile a quella da schermidori, che gli copre il volto e parte delle spalle. Si tratta in realtà, e lo si capisce nell’ultima parte, della maschera di protezione necessaria durante la radioterapia. Ma è soprattutto un elemento di isolamento, una cesura netta fra l’uomo che la porta e gli altri, che pur permettendogli di muoversi come preferisce non lo lascia mai completamente libero. È, in altre parole, la malattia stessa.

I richiami a Caro diario sono facilmente riconoscibili. La musica orientale che accompagna buona parte degli episodi ricorda molto la world music che faceva da sottofondo ai pellegrinaggi in Vespa, così come torna nuovamente il tema del ballo, inseguito senza successo per tutto il primo episodio del film (“In realtà il mio sogno è sempre stato quello di saper ballare bene”), simboleggiato anche dalla spasmodica ricerca di Jennifer Beals, star di Flashdance (“Il film che mi ha cambiato definitivamente la vita”).

Anche l’uomo mascherato ama il ballo, lo osserva compiaciuto dagli spalti dell’Auditorium di Roma, ma se nel film il non saper ballare era il sintomo di una sconfitta (“Alla fine mi riduco sempre a guardare, che è anche bello, però è tutta un’altra cosa”), nel corto il restare a guardare non è più antitetico al ballo vero e proprio. L’uomo mascherato danza seduto e guardando gli altri danzare, con tutta la sua imbracatura. Un gesto che è il simbolo dell’accettazione di sé che non cede però alla rassegnazione.

Moretti tornerà presto in sala, emergenza permettendo, con Tre piani, tratto dal romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo.


Tobia Cimini

Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.


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