Nelle foto la nascita di un genocidio. Requiem per gli ebrei rumeni, in un doc
In occasione del Giorno della memoria arriva in sala con CineAgenzia, “The Dead Nation” di Radu Jude: il racconto della Romania negli anni Trenta e Quaranta con le fotografie commentate dal diario di Emil Dorian, medico e scrittore ebreo. È la cronaca audiovisiva di una degenerazione. Dal regime filonazista alla persecuzione antisemita. Come nasce il razzismo e un genocidio. E la risposta è disturbante: dalla normalità. Un doc da non perdere che guarda a ieri per dire di oggi…
“Che valore ha la cittadinanza se un ministro può sospenderla con un decreto? Chi può garantirci che altri governi non ripetano questo atto?”. Domande, note, dubbi inquietanti. A parlare è il dottor Emil Dorian, medico, scrittore e poeta ebreo, nella Romania del 1937.
È in quell’anno, e in quello Stato, che si apre The Dead Nation di Radu Jude, ovvero Tara Moarta, ovvero nazione morta. Il film, già presentato a Locarno e in molti festival, fa parte di “Pagine Nascoste”, la rassegna di documentari di Festivaletteratura di Mantova che girano per le sale tutto l’anno, grazie a CineAgenzia, compreso – naturalmente – il Giorno della memoria.
Tara Moarta è composto da una raccolta di fotografie di una cittadina rumena fra gli anni Trenta e Quaranta, scattate dal fotografo Costic Acsinte. Ad accompagnare i “frammenti di vite parallele” (così nel sottotitolo) gli estratti del diario di Dorian, che danno senso a quelle immagini.
Intorno c’è l’avanzata del nazismo. La persecuzione degli ebrei. Siamo sulla strada verso la dittatura del generale Ion Antonescu, che nel 1940 instaura il fascismo in chiave rumena e completa la “hitlerizzazione della Romania”, come la definisce Dorian. Ma qui, a rilevare, non è solo il punto di arrivo: è la gradualità della decomposizione del corpo sociale. Che avviene semplicemente, banalmente, e presto è un dato di fatto.
Le fotografie e gli estratti ripercorrono quella strada. Alla fine del 1937 Emil Dorian comincia a tenere un diario: mentre i partiti di estrema destra iniziano a prendere il potere “gli ebrei si aspettano una catastrofe”, scrive. La progressività dell’instaurazione del regime muove i suoi passi: cittadini ebrei vengono licenziati dai posti di lavoro, si insinua l’idea razzista, i giornali criticano la minoranza fino a imputare agli ebrei addirittura il diffondersi di alcune malattie. Nel frattempo, nel corso degli anni, l’asse con la Germania si stringe, un partito fascista unico si candida in Parlamento, il saluto romano diventa obbligatorio. “Per la prima volta la domanda ‘cosa succederà?’ risuona nell’anima”, osserva Dorian.
Le immagini scandiscono il commento letterario. Prima vediamo, nelle foto della Romania rurale, una comunità povera ma unita, pose di gruppo, scene di famiglia; poi, passo passo, ecco un bambino che imbraccia un fucile, l’avanzare della guerra che emerge in filigrana, sempre più soldati in divisa, e infine l’evidenza della discriminazione antisemita. Nel 1941 la foto del cadavere di un suino con persone che sorridono. Le parole proseguono, ma c’è poco da aggiungere. Fuori campo il regime getta la maschera: torture e omicidi, barbe strappate, croci incise sulla schiena e cosparse di sale, ebrei costretti a bere benzina.
Il film di Jude è la cronaca audiovisiva di una degenerazione. Come nasce il razzismo e un genocidio. La risposta è disturbante: dalla normalità. Nella sottovalutazione, senza che nessuno se ne accorga. Qui lo dimostra il diario di Dorian, che dalla sua ottica scientifica e illuminista assiste sgomento alla dissoluzione, perfino più grave perché vista dalla lente di un medico, in grado di smentire sul nascere le teoria di superiorità. Ma, allo stesso tempo, tragicamente impotente davanti allo sgretolarsi di un Paese e all’imporsi di un’idea di Stato. In Romania, si stima, oltre 280.000 ebrei furono vittime del regime filonazista: un Olocausto dimenticato, prima occultato e poi minimizzato al tempo di Ceausescu.
Ecco allora che The Dead Nation porta un’altra pietruzza a quel cinema rumeno che guarda indietro, volta la testa e fa i conti col rimosso: di fatto Radu Jude innesta nel documentario lo stesso discorso di Cristian Mungiu (come non ricordare 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni: l’aborto sotto il regime), Cristi Puiu, Adrian Sitaru e tutto il nuovo cinema rumeno che guarda a ieri per dire di oggi. Senza torsioni interpretative, infatti, suona perfino evidente la ricaduta sul contemporaneo, è davanti agli occhi: si pensi a un ministro che sospende la cittadinanza per decreto, come scrive Dorian, e ognuno può trarre le sue conclusioni.
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