Cernobyl, oratororio per voci e immagini
È “La supplication” magnifico film ispirato al libro della Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievic, presentato al Triestefilmfest. Una preghiera laica in memoria delle vittime del disastro nucleare, ma anche un monito per il futuro…
Oratorio per voci e immagini. Le voci, quelle dei testimoni. Le immagini, quelle potenti di una città fantasma come la natura che la circonda. Siamo a Cernobyl, trent’anni dopo il disatro nucleare (era il 26 aprile 1986). Ma in cerca di futuro. Così come ha raccontato Svetlana Aleksievic, prima del Nobel, nel suo “immenso” Preghiera per Cernobyl. Cronaca del futuro, diventato ormai un testo sacro, un classico della letteratura contemporanea tradotto in tutte le lingue occidentali.
Siamo a Cernobyl, infatti, sul filo di quelle parole raccolte dalla scrittrice bielorussa tra i sopravvissuti della tragedia e che ora sono diventate altro: un film potente, magnifico, presentato come evento speciale all’ultimo “Triestefilmfestival” che ha chiuso i battenti il 31 gennaio.
Stiamo parlando di La supplication dell’autore e produttore lussemburghese Pol Cruchten, appassionato di storia e sconosciuto dalle nostre parti, capace in questo suo ultimo lavoro di sposare il cinema alla letteratura con una modalità personalissima, che affonda decisamente nel mondo della videoarte.
Le sue immagini sono installazioni, quadri che spaziano nell’immobile scenario di questa città scheletro, accogliendo al loro interno personaggi e voci soprattutto, che dicono di quell’immane tragedia causata dall’uomo che non solo sull’uomo ha sfogato la sua devastazione, ma anche sulla natura, ignara, avvelenandola per i secoli a venire.
Voci di testimoni che Svetlana Aleksievic ha raccolto nel suo libro come in una sorta di presa diretta della memoria, in cui incontriamo uomini, bambini, donne con le loro storie di vite quotidiane spezzate e il futuro oscurato. In lotta con l’oblio imposto da un regime, impegnato fino all’ultimo, a nascondere, a minimizzare, a cancellare le conseguenze della tragedia. Lo racconta, ad esempio, un fisico incaricato di stilare il dossier del disastro, “pari a 350 bombe di Hiroshima”. Lo racconta quella madre con la sua bambina nata e cresciuta in ospedale in lotta con i medici che negano il legame tra le malattie della bimba e il disastro nucleare. O quell’altra madre che dice di una famiglia sterminata dalle radiazioni: prima il marito e poi a distanza di tre anni gli altri due figli.
Poi ci sono i ricordi dell’esplosione. Quelli dei militari chiamati per i soccorsi e consumati dall’atomica a centinaia e centinaia. Dell’evacuazione avvenuta solo giorni dopo, “potevamo portare via solo un oggetto”, racconta un uomo. Dei propri cari trasformati “in oggetti radioattivi”, come si è sentita dire quella donna che reclamava il corpo del marito. Di quel bambino di 11 anni che si è impiccato perché non poteva essere bambino, impedito dalla malattia a correre e saltare. Ma anche le “bufale” dei media come “i funghi grandi come teste – racconta un giornalista – che a Cernobyl non ci sono ai stati. Eppure l’hanno scritto”.
Sono racconti di una guerra, insomma. Contro gli uomini e la natura. Una preghiera collettiva, laica, struggente, a monito per il futuro. Sperando che non sfugga ai distributori italiani e che si possa a breve vedere nei nostri cinema.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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