Oscar più inclusivi? Non sarà il sol dell’avvenire ma essere rappresentati può anche salvare la vita
Si accendono le polemiche intorno alla decisione dell’Academy di imporre nei film candidati all’Oscar le quote di rappresentanza delle minoranze. Tranquilli non saremo inondati da blockbuster di fantascienza con supereroi gay che distruggono il capitalismo a colpi di dildo o drammi sociali su lesbiche afrolatine. È piuttosto un’operazione di facciata – già fatta dai BAFTA britannici – che però, almeno, permetterà a tutti noi che facciamo parte di una minoranza oppressa di vederci un pochino più rappresentati e raccontati …
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, diceva il giovane Tancredi di gattopardiana memoria, indicando la capacità del potere di adattarsi ai cambiamenti dei tempi per conservare il proprio privilegio e lo status quo nella sua essenza.
A Hollywood invece, con buona pace di chi in questi giorni inveisce contro il politically correct a causa delle recenti decisioni dell’Academy, si devono esser detti che non c’è bisogno che tutto cambi, basta cambiare qualcosina. Anzi, basta metterla nero su bianco e presentarla come un grande atto progressista, così ci pariamo dalle polemiche degli ultimi anni.
Parliamo, infatti, delle nuove regole per cui a partire dal 2024 per essere candidati a miglior film, sia nel nel cast che nella troupe dovranno essere rispettate le quote in rappresentaza delle categorie “sottorappresentate”: donne, Lgbtq, etnie minoritarie, disabili.
Non si tratta di rivoluzione però, ma di una semplice ufficializzazione di consuetudini già in atto da tempo e che già sono state ratificate lo scorso anno anche dall’equivalente britannico degli Oscar, la British Academy of Film and Television Arts.
I BAFTA battono gli Oscar per una volta!
A osservare bene le linee guida dell’Academy statunitense inoltre, è richiesta l’osservanza di almeno due delle quattro categorie standard, non tutte, per potersi qualificare. E comunque questo riguarda quei film che aspirano a competere agli Oscar, non certo alla produzione di genere che costituisce il grosso del fatturato dell’industria, anche se pure quella eventualmente e lentamente si muoverà in quella direzione (e non ci pare un male).
In soldoni questo vuol dire che l’attuale produzione hollywoodiana può continuare indisturbata a produrre esattamente quello che già racconta, magari includendo e rappresentando un pochino più donne, disabili, minoranze etniche e persone LGBTQIA+, il che non è certo un crimine. Anzi ben venga e chiunque si esprimesse altrimenti dovrebbe fare i conti col fatto che l’eterosessualità cis bianca non rappresenta più la maggioranza a livello globale né la si può più considerare “universale”.
Un’industria mondiale che vede gran parte delle sue entrate arrivare da paesi, compresa gran parte degli stessi Stati Uniti, in cui le cosiddette minoranze (etniche e non) formano una relativa se non stragrande maggioranza rispetto al pubblico bianco etero cis, sa benissimo come proteggere i propri guadagni. Non è che da domani saremo inondati da blockbuster di fantascienza con supereroi gay che distruggono il capitalismo a colpi di dildo o drammi sociali su lesbiche afrolatine che si ribellano al sistema patriarcale e alla fine lo abbattono. Magari!
Tranquilli, il sistema capitalista e eteropatriarcale resterà intatto nella sua essenza, solamente sarà un pochino più variegato al cinema. Anzi, ora si può dare una bella pacca sulla schiena per questo nobile gesto di inclusione, tipico del pink-washing dei grandi brand, che un giorno sostengono i Pride sponsorizzandoli – cioè facendosi grande pubblicità – e il giorno dopo finanziano le campagne di politici che lavorano per ridurre gli spazi e i diritti delle minoranze.
Un’operazione di facciata tutto sommato, che però almeno forse permetterà a tutti noi che facciamo parte di una minoranza oppressa, di vederci un pochino più rappresentati e raccontati. E, per la terza volta, lasciatemelo ripetere, almeno questo davvero non mi pare un male. Non è la rivoluzione che si vorrebbe, non è certamente il sol dell’avvenire, ma non è neanche una pessima idea, perché delle volte, sentirci rappresentati, raccontati, compresi, può anche salvarci la vita.
Fabiomassimo Lozzi
Regista e scrittore, vive tra l'Inghilterra e l'Italia. Suoi i film: "Altromondo" (2008), "Stare Fuori" (2009), "Nessuno è Perfetto!" (2013) e il film partecipato "Oggi Insieme Domani Anche" (2015). Ttra i suoi racconti: "Allupa Allupa", "La Manutenzione della Carne", "Tutti Giù all'Inferno", "Qualcuno ha morso il Cane", "Buon Natale Buon Anno Nuoo", "Laudato Sie Mi' Signore"
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