Poltergeist, “sono di nuovo tra noi”
In sala il remake del cult di Tobe Hooper sceneggiato dal Pulitzer Lindsay-Abaire. Torna l’archetipo letterario della casa infestata ma senza stupore per gli effetti speciali né sottotesto politico, solo un aggiornamento al contemporaneo tra droni e reality show…
L’archetipo torna sempre. Nella consueta onda horror estiva, che vedrà la sua punta in Babadook (uscita 15 luglio), arriva il topos della casa infestata.
Tutti i colossi letterari del fantastico lo hanno affrontato: dal classico fondativo Il castello di Otranto di Walpole alla Caduta della casa Usher di Poe, da Il giro di vite di Henry James ai racconti di H.P. Lovecraft. E – per entrare nel Novecento – era una casa infestata anche quella di Shining di King/Kubrick. Allo stesso modo non si contano le trasposizioni cinematografiche: basti citare quella che viene ricordata come la prima “casa dei fantasmi” su grande schermo, The Ghost House di William C. de Mille (1917), film muto con Jack Pickford che declinava il tema primario a passo di commedia.
Poltergeist – demoniache presenze (1982) di Tobe Hooper riscrisse le coordinate dell’archetipo. Su soggetto di Spielberg che lo chiamò alla regia, il regista di Non aprite quella porta lanciò una bomba nell’America di Reagan, un film ottantesco e politico, dove il nucleo famigliare “conservatore” veniva funestato dall’intervento dei poltergeist.
Una storia anche familista, certo, con la madre che sottrae la figlia all’altra dimensione, ma la ricomposizione avveniva al prezzo di mettere in dubbio le proprie certezze consolidate. Un cult dovuto – anche e soprattutto – alla sua macchina spettacolare: la Industrial Light & Magic di George Lucas innovò gli effetti speciali, il tecnico Craig Reardon azzardò soluzioni ardite, come l’accelerazione sul digitale o l’uso di scheletri veri per risparmiare su quelli riprodotti. Non un capolavoro, ma un must: l’horror degli anni ’80 che tutti dovevano vedere, con la frase di lancio “They’re here” (Sono intorno a noi) che fece il giro del mondo ed entrò nel linguaggio di genere.
C’è dunque un solo modo per avvicinare Poltergeist di Gil Kenan, in sala dal 2 luglio: evitare il confronto. La regia si affida al trentanovenne mestierante americano, già regista di Monster House (ecco) e Ember – Il mistero della città di luce, mentre alla sceneggiatura c’è il drammaturgo americano David Lindsay-Abaire, premio Pulitzer 2007 per la pièce teatrale Rabbit Hole (da cui il film con Nicole Kidman). Attenzione: quel testo si basa su una coppia che perde un bambino, in particolare i coniugi Becca e Howie che affrontano la morte del figlio di quattro anni in un incidente, è una lunga elaborazione del lutto. La scomparsa del figlio è anche al centro di Poltergeist: la piccola Maddie viene risucchiata con l’inganno nella dimensione degli spettri, la coppia formata dai coniugi Bowen (Sam Rockwell e Rosemarie DeWitt) ha il compito di salvarla. L’oscillazione dei genitori verso la prole, accettarne la morte o tentare la salvezza, è ancora il fulcro narrativo dello scrittore.
Nella reinstallazione tornano alcuni feticci hooperiani, come il pagliaccio, e ne vengono aggiunti di nuovi. Ma oggi non c’è stupore possibile per effetti speciali, né un sottotesto politico da insinuare: allora Lindsay-Abaire aggiorna l’intreccio alle tecnologie, agli iPad e ai droni, con il drone giocattolo pilotato dal bambino che diventa strumento per varcare il maelstrom fantasmatico. Lo sceneggiatore poi introduce una vena di ironia, nella linea dell’horror Usa che ormai propone (quasi) sempre un secondo grado scettico: c’è quindi un programma tv sulle case infestate, da prima serata Sky, con l’eccentrico investigatore “finto” chiamato a liberare una “vera” casa infestata. “Potete guadagnare molto facendo un reality show”, viene proposto alla famiglia. Il film scorre automatico, punta appena sul divo Rockwell, tiene senza guizzi. E infine, dopo i titoli di coda, si torna sempre alla televisione: la casa è disinfestata, ma il programma sulle case infestate continua. Una chiosa contemporanea che riguarda anche noi spettatori, la nostra smania di guardare.
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