Quel ladro poco gentiluomo creato per i pendolari. Nascita e gesta di Diabolik, in un doc

In sala soltanto l’11-12-13 marzo (per Nexo Digital), “Diabolik sono io”, docufilm di Giancarlo Soldi dedicato ad uno dei più celebri ladri del mondo a fumetti, nato dall’intuizione delle eleganti sorelle Giussani, decise a creare una pubblicazione popolare destinata alle centinaia di pendolari dell’Italia del boom. E, giallo nel giallo, anche la storia di Zarcone, il primo disegnatore che scomparve misteriosamente dopo aver consegnato le tavole del primo numero, “Il re del terrore” …

Luciano Scarpa Zarcone

Hitchcockianamente avrebbe potuto intitolarsi Zarcone Vanishing o, più semplicemente, Il mistero Zarcone e invece è Diabolik sono io, il docufilm diretto da Giancarlo Soldi nelle sale come evento soltanto l’11-12-13 marzo, prodotto da Anthos Produzioni con Rai Cinema, in collaborazione con Astorina, editore del popolarissimo fumetto. Ma chi è (o era) Zarcone? E che cosa ha a che fare con Diabolik? Molto: visto che fu il primo, misterioso, disegnatore del personaggio a fumetti nato nel novembre del 1962.

Misterioso perché di lui si sa ben poco, a cominciare dal nome, forse Angelo, dal curioso soprannome, «il tedesco», affibbiatogli perché si faceva sempre accompagnare da un figlioletto biondo e perché, pare, girasse in sandali e calzini, anche in pieno inverno, come certi teutonici turisti d’antan.

Ma, soprattutto, misterioso perché scomparve nel nulla dopo aver consegnato le tavole del primo numero, Il Re del Terrore. Non ne disegnò altri e, quando si trattò di ristampare il primo numero andato esaurito, fu sostituito da Luigi Marchesi che rifece tutti i disegni e apportò qualche modifica ai tratti del personaggio, conservando però una certa somiglianza di Diabolik con l’attore Robert Taylor, come avevano voluto le sorelle Giussani creatrici ed editrici di quello smilzo tascabile che rivoluzionò la storia del fumetto, dell’editoria e del costume italiani.

La storia è nota. Le magnifiche sorelle – davvero belle, eleganti, intelligenti – Angela e Luciana si fecero venire in testa l’idea di una pubblicazione popolare destinata alle centinaia di pendolari che sciamavano dalla Stazione Cadorna di Milano, situata vicino alla loro abitazione.

Che cosa meglio di un fumetto? Angela, moglie dell’editore Gino Sansoni, fondò così una sua piccola casa editrice che chiamò Astorina e s’inventò Diabolik un ladro deciso a tutto, poco gentiluomo ma fedelissimo alla sua compagna Eva Kant, cattivo e talvolta spietato mai però gratuitamente violento. Abile nei travestimenti (con l’ausilio di maschere di lattice che ne cambiavano età e connotati) come il suo predecessore Fantomas, con un debole per i gioielli che ruba in spettacolari furti nell’immaginaria città di Clerville, un po’ Marsiglia e un po’ Milano.

Inguainato in una calzamaglia nera, con gli occhi inquadrati da una mascherina «al negativo» che lascia scoperti i magnetici occhi, è un vero e imbattibile escapista, un Houdini del crimine che riesce sempre a sgusciare da manette, catene e prigioni nelle quali tenta di costringerlo e catturalo l’implacabile avversario Ispettore Ginko.

La novità – almeno per l’Italia – sta nel fatto che il Male la vince sul Bene e che il cattivo piace più del buono. Da qui le infinite polemiche, censure, denunce, quasi processi che la serie a fumetti dovette sopportare. Il successo – dopo un’iniziale partenza abbastanza in sordina – fu clamoroso, facilitato anche dal felice formato editoriale: albi di un centinaio di pagine di 11,5 x 16, 9 cm con due vignette per pagina, che si mettevano facilmente in tasca e si leggevano nel tempo del percorso in treno. Successo che diede la stura a una vera e propria dinastia di eroi neri, preferibilmente con la K, a partire da Satanik e Kriminal, senza contare le successive declinazioni in similporno e le parodie d’ogni tipo (compreso l’esilarante Dorellik di Johnny Dorelli).

Di questo e altro, parla (anzi fa parlare nelle interviste a Mario Gomboli, attuale editore, a Carlo Lucarelli, Milo Manara, Alfredo Castelli, Tito Faraci, Giuseppe Palumbo e altri: tutti autori, disegnatori, sceneggiatori che hanno avuto a che fare in qualche modo con Diabolik), il documentario di Giancarlo Soldi che però s’inventa a far da collante una mini-fiction in cui riappare uno «smemorato» Zarcone (interpretato da Luciano Scarpa).

Scampato a un incidente e in fuga da una clinica dove era ricoverato per amnesia dissociativa vaga per la città in cerca della sua vera identità. Capita in una comunità di homeless che vive in un angolo di un parco abbandonato e, con l’aiuto di una giovane ragazza, tenterà di capire perché è ossessionato da alcuni disegni che traccia su un taccuino e dagli occhi malvagi (la mascherina di Diabolik) che disegna continuamente sui muri di un rudere abbandonato.

Magari un po’ lento nel ritmo, il film di Soldi (Nero, Come Tex nessuno mai, Nessuno siamo perfetti) ha il pregio di non proporre il solito montaggio di interviste, documentazioni filmate e truke di disegni e copertine ma di costruire una sorta d’inedito Numero Zero dell’infinita saga delle avventure di Diabolik, un mistero nel mistero di un personaggio diventato leggendario.

Piccola chicca finale la canzone sui titoli di coda: Diabolik, cantata da Betty Curtis e scritta da Eric Muller, Marcello Marchesi e Gualtiero Marconi. E gli spezzoni di filmati d’archivio con le Sorelle Giussani rivelano dall’interno una redazione tutta al femminile, un’imprenditorialità e creatività femminile davvero insolite e coraggiose in quegli anni. Tanto da farci dire che: altro che Zarcone, il vero «Diabolik siamo noi».