“Restiamo amici”, la (solita) commedia italiana. Orfana della commedia all’italiana
In sala dal 4 luglio (per 01 Distribution), “Restiamo amici”, nuova regia di Antonello Grimaldi dall’omonimo romanzo di Bruno Burbi (Newton Compton). Un altro esempio di cinema italiano virato alla commedia, ma non più “all’italiana”. Dove la regia non riesce mai a far spiccare il volo al materiale umano che tratta, nonostante gli interpreti – Michele Riondino, Libero Di Rienzo, Alessandro Roja – siano tutti impegnati a dare spessore ai loro personaggi. Presentato in anteprima il 25 giugno a Sassari, nell’ambito del Sardinia Film Festival…
Il cinema italiano virato alla commedia – ma non più “all’italiana” – si affanna a replicare i successi (al botteghino) di film come Smetto quando voglio e Perfetti sconosciuti, faticando spesso a trovare il filo del discorso quando non è supportato da una sceneggiatura solida.
È il caso di Restiamo amici, sottotitolo, Chi trova un amico perde un tesoro… di Antonello Grimaldi, tratto dall’omonimo romanzo di Bruno Burbi pubblicato in Italia da Newton Compton e riscritto per il grande schermo da Marco Martani e Raffaello Fusaro.
Il film, in uscita il 4 luglio, con 01 Dstribution, narra la storia di due amici ormai quarantenni, Alessandro e Gigi, che si ritrovano, a distanza di anni e di continenti, per architettare una specie di truffa ereditaria.
Lo scopo è impossessarsi di una somma che il padre di Gigi ha lasciato in eredità a un nipote ipotetico con un vincolo pressoché insormontabile. L’ingenuo Alessandro, inizialmente riluttante, supera ogni scrupolo morale di fronte alla messa in scena di Gigi che finge di essere in fin di vita, e accetta di coinvolgere il proprio figlio facendolo passare per il nipote avente diritto.
Com’è facile immaginare, iniziano da qui una serie di equivoci e contrattempi, che contemplano tra l’altro il finto funerale di Gigi, l’incrinatura dei rapporti tra padre e figlio e l’entrata in scena di un terzo amico, Leo, che potrebbe saldare i suoi debiti partecipando alla spartizione del bottino.
La storia si conclude amaramente per tutti (o quasi), celebrando la ritrovata amicizia e i bei ricordi dei tempi andati. Ovviamente ci sono anche le donne a fare da contorno, restando però ai margini di una vicenda tutta declinata al maschile, secondo un modello che – su basi più solide – apparterrebbe di diritto al cinema americano.
Il fatto è che qui i personaggi sono più che stereotipati, disvelando ancora una volta un difetto del cinema italiano che si autocompiace e non vede oltre il proprio ombelico.
Sono passati più di dieci anni dalle fortune di Caos Calmo, dal romanzo di Sandro Veronesi, che ha fatto accendere su Antonello Grimaldi i riflettori delle grandi occasioni (anche per la tanto dibattuta scena di sesso tra Nanni Moretti e Isabela Ferrari). Qui, piuttosto, la regia manca di fantasia – la scena del sogno ai confini della realtà, di hitchcockiana memoria, è indisponente per la sua prevedibilità – e non riesce quasi mai a far spiccare il volo al materiale umano che tratta, mentre il montaggio meccanico si piega al servizio di una sceneggiatura che più di una volta si inceppa e s’ingarbuglia lungo il racconto.
Alla fine si ha l’impressione che anche le trasferte all’estero e i paesaggi inquadrati – l’incantevole Trento e la meravigliosa Lugano – siano destinate a distrarre piuttosto che ad assecondare la storia.
Peccato, perché gli attori, tutti impegnati a dare spessore ai loro personaggi – da Michele Riondino (Alessandro) ad Alessandro Roja (Gigi), da Libero Di Rienzo (Leo) a Ivano Marescotti (il notaio Brenner), da Violante Placido (Bianca) a Sveva Alviti (Marta) –, finiscono a loro volta in una specie di limbo, non supportati da una vicenda che abbia un minimo di credibilità e di respiro men che provinciale.
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