“Ridendo e scherzando” sulla terrazza di casa Scola. Ritratto di famiglia del cinema italiano

“Ridendo e scherzando” sorta di “diario intimo”, emozionante e soprattutto divertente, in cui le figlie Silvia e Paola, che ne firmano la regia, hanno saputo cogliere tutta l’ironia e l’impegno di questo papà così “ingombrante”. Parliamo del ritratto di Ettore Scola e delle sue famiglie: quella privata, bella e grande con le feste di compleanno, tavolate di bimbi, giochi e coccole. E quella pubblica del cinema italiano, che negli anni del dopoguerra famiglia lo è stata davvero, nel suo costante lavoro di gruppo tra sceneggiatori, attori, registi e scrittori. Il film è stato presentato alla Festa di Roma 2015 …

Italy, Ettore Scola tells Fellini

Ritratto di famiglia con risate. Quella privata, bella e grande con le feste di compleanno, tavolate di bimbi, giochi e coccole. E quella pubblica del cinema italiano, che negli anni del dopoguerra famiglia lo è stata davvero, nel suo costante lavoro di gruppo tra sceneggiatori, attori, registi e scrittori. Prima con la grande stagione del Neoralismo e poi, dai Sessanta, con quella ugualmente straordinaria della Commedia all’italiana che, pur rispondendo alla ferrea legge del “far ridere”, ha “graffiato” la realtà del Paese, svelandone tensioni sociali e politiche.

Eccole le “famiglie” di Ettore Scola che ci racconta in prima persona in Ridendo e scherzando, sorta di “diario intimo”, emozionante e soprattutto divertente, in cui le figlie Silvia e Paola, che ne firmano la regia, hanno saputo cogliere tutta l’ironia e l’impegno di questo papà così “ingombrante” che ha segnato la storia del cinema, facendo ridere e pensare, rifuggendo come la pesta la retorica.

Con Pif che scherza nel ruolo dell’intervistatore, giovane e imbarazzato davanti al “monumento”, il film mescola insieme ricchi e preziosi materiali: interviste di Scola, spezzoni dei suoi film, le sue celebri vignette (“il disegno è sempre stata la mia vera passione”), backstage e, soprattutto, foto e inediti filmini di famiglia in cui lo svediamo ninnare e sbaciucchiare con dolcezza figlie e nipoti, o tornare da Parigi, a sorpresa, per il compleanno della sua Gigliola, compagna di tutta la vita.

Ci sono gli inizi da umorista nella redazione del giornale satirico Marc’Aurelio, dove, giovanissimo, incontrò Fellini, “celebrato” di recente in Che strano chiamarsi Federico. Poi la sua prima carriera da “negro” (“oggi si dice ghost writer”), ossia scrittore di battute per la premiata ditta Metz e Marchesi: sua è l’impareggiabile scena della “dettatura della lettera”, capolavoro di comicità, in Totò, Peppino e la malafemmina (1956) di Mastrocinque. Suo il “Mariopio con chi parlo con chi parlo io” del giovane Alberto Sordi che vediamo, in foto, testimone di nozze di Ettore e Gigliola.

Da sceneggiatore  Scola firma una quarantina di titoli (e almeno altrettanti da “negro”). Tra cui capolavori come La grande guerra, Il sorpasso, Io la conoscevo bene. Con Antonio Pietrangeli instaura un profondo sodalizio artistico e umano da cui trae quella particolare sensibilità nel tratteggiare i personaggi femminili che lo accompagnerà in tutto il suo cinema.

Ma è per “colpa”  di Vittorio Gassman, così racconta sorridendo, che sceglie di passare dietro alla macchina da presa: l’esordio alla regia arriva nel 1964 con Se permettete parliamo di donne – con Gassman nei panni del mattatore -, mentre il successo di pubblico è del ’68 con Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? che dà l’avvio a Ridendo e scherzando,  facendo rimbalzare l’appellativo “stronzo” tra Pif e il regista, tanto per far capire quanto poco “celebrativo” voglia essere questo documentario.

Da qui in poi la storia è più nota. E il film, quello della sua vita, ci porta attraverso  pezzi da novanta: Dramma della gelosia, C’eravamo tanto amati, Una giornata particolare, La terrazza (passerà alla Festa il 22 ottobre nella versione restaurata). Ma anche titoli “incompresi” – soprattutto a sinistra – come Brutti sporchi e cattivi, che Scola aveva immaginato – ci dice – come un ritorno ai luoghi di Accattone, dieci anni dopo. Tanto che Pasolini avrebbe voluto girare una sorta di “introduzione”, come si fa coi libri. Ma non fece in tempo: fu ucciso il 2 novembre 1975 all’idroscalo di Ostia, proprio nelle vicinanze del set dove Scola stava ultimando le riprese.

C’è il rapporto con gli attori poi, i “suoi” Mastroianni, Sordi, Manfredi, e pure il giovane Troisi. Con gli Age e Scarpelli, Maccari, Amodei, insuperata “scuola” di scrittura. C’è la sua passione sconfinata per De Sica, per i personaggi spesso ai margini, per i temi sociali, e, soprattutto – condivisa con la sua generazione – la passione per la politica. “Lei è ancora comunista?” gli schiede un giornalista di una tv francese: “Sì”, risponde Scola, spiegando che quella parola – ormai messa al bando – ha a che fare, non più con l’Unione sovietica, certamente, ma piuttosto con l’onestà e un sentimento di rispetto per l’umanità. Insomma, quello che lui ha sempre messo nel suo cinema, ridendo e scherzando.