Sarura, la perseveranza degli ulivi. Il piccolo villaggio palestinese (resistente) in un doc
In sala dal 18 marzo (per Distribuzioni dal basso) “Sarura, The future is an unknown place” documentario di Nicola Zambelli, realizzato in due riprese nell’arco di dieci anni per documentare la resistenza agli attacchi israeliani di un gruppo di pastori palestinesi e dei loro figli in un piccolo villaggio scavato nella roccia in Cisgiordania. I bambini conosciuti allora sono ormai diventati uomini, e conducono la stessa battaglia dei loro genitori e nonni. Sono i ragazzi della “Youth of Sumud”: la gioventù della perseveranza …
Con l’animo già gravato dalle immagini dell’aggressione russa all’Ucraina, occorre un notevole sforzo di moderazione per non cedere alla rabbia e accettare lo spirito non violento che ispira il documentario Sarura, The future is an unknown place (Il futuro è un luogo sconosciuto) di Nicola Zambelli, prodotto da SMK Factory, nelle sale dal 18 marzo.
Sarura è il nome di un antico villaggio palestinese scavato in parte sotto la terra nei pressi di At-Tuwani, nelle colline a sud di Hebron che confinano con il deserto del Negev. Abitato fino a metà degli anni ’90 da pastori palestinesi, è stato abbandonato a seguito della costruzione di due avamposti israeliani (illegali), Ma’on e Havat Ma’on, e dei ripetuti attacchi dei coloni con la complicità dell’esercito israeliano.
Nel 2011 Zambelli andò per la prima volta a Sarura per testimoniare la vita e la resistenza dei pastori palestinesi e dei loro figli, che per oltre 20 anni hanno risposto ai tentativi di evacuazione con azioni nonviolente supportate dal Comitato di Resistenza Popolare e da pacifisti israeliani e internazionali. Allora ne nacque un film interamente autoprodotto, Tomorrow’s Land, che ha partecipato tra gli altri ai David di Donatello, al Thessaloniki Film Festival, all’Al Jazeera Film Festival, vincendo numerosi premi.
Il resoconto di quell’esperienza è stato aggiornato e integrato da Sarura, girato nel 2018 nei villaggi di Sarura e At-Tuwani, con il supporto logistico e scientifico dell’associazione italiana Operazione Colomba, presente sul territorio da molti anni. I bambini conosciuti allora sono ormai diventati uomini, e conducono la stessa battaglia dei loro genitori e nonni. Dopo avere fondato attorno alle grotte di Surura un presidio denominato “Sumud Freedom Camp” (Sumud significa perseveranza), sono tornati a piantare alberi di ulivo per rendere produttivo il terreno, utilizzando la poca acqua che i coloni hanno lasciato a disposizione. Inoltre hanno continuato a garantire la sicurezza dell’area, scortando i bambini a scuola per difenderli dalle provocazioni dei coloni e assistendo i pastori dei villaggi limitrofi, minacciati di sgombero dal governo israeliano.
Alternando le immagini di allora a quelle di oggi si ricompone il quadro di un’occupazione e di una resistenza che durano ormai da settant’anni. Molto eloquenti, al riguardo, gli scambi di battute tra soldati israeliani che in modo più o meno consapevole avallano le provocazioni dei coloni armati e gli attivisti che difendono il diritto dei pastori di pascolare nelle loro terre.
Per non dire della violenza quasi insostenibile di certe immagini girate di nascosto, in cui i militari usano maniere forti contro i pacifisti e procedono ad arresti arbitrari. Amnesty International – che ha dato al film il suo patrocinio – ha denunciato questi episodi nel suo rapporto del febbraio 2022, parlando di “clima volutamente esasperato dal rifiuto dell’occupante di parlare la lingua dell’occupato, la risposta al quale si basa sul linguaggio della documentazione e della resistenza non violenta”.
Ci si potrebbe consolare con le immagini di serenità girate nella grotta restaurata e nei suoi dintorni, con cene a lume di candela, balli, progetti elaborati insieme e risvegli mattutini alla luce tiepida del primo sole. Purtroppo le didascalie finali ci informano che a maggio 2021 i coloni di Ma’on e Havat Ma’on hanno dato fuoco alla grotta di Sarura e bruciato gli ulivi nella valle, distruggendo il Sumud Freedom Camp.
Subito dopo però – aggiungono le successive didascalie – i ragazzi e le ragazze riuniti in un collettivo chiamato “Youth of Sumud” (La gioventù della perseveranza) hanno iniziato a lavorare per ripristinare il “Sumud Freedom Camp”, piantando nuovi alberi di ulivo. Perseveranza, appunto. E ulivo che, non dimentichiamolo, sarebbe ancora l’albero della pace.
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