Shirin Neshat: “Nel mio cinema la rivolta delle donne iraniane”

Shirin Neshat, artista visiva iraniana, tra poco sarà ospite delle Giornate degli Autori veneziane, col suo nuovo film, “Looking For Oum Kulthum”. Pubblichiamo un’intervista del 2010 (per l’Unità) fatta per il suo esordio nella regia: “Donne senza uomini” tratto dal romanzo-denuncia dell’iraniana Shahrnush Parsipur, sul golpe della Cia del ‘53, che portò alla destituzione del premier Mohammad Mossadeng e al ritorno dello Shah Palevi…

«Ahmadinejad e Berlusconi si assomigliano molto. Sono diversi nella forma ma la sostanza è la stessa. Certi fanatismi si assomigliano tutti, come è stato anche per Bush». Minuta, esile addirittura, con gli occhi marcati dal kajal come le figure della mitologia persiana, Shirin Neshat ha in realtà la grinta di un leone.

Con le sue donne velate, tatuate, coi fucili in primo piano ha portato nel mondo dell’arte visiva la sua personale denuncia contro gli integralismi religiosi e la drammatica condizione femminile nel mondo islamico. Ha esposto nei musei più importanti del pianeta conquistando da una parte il consenso unanime della critica internazionale, ma dall’altra il divieto di rimettere piede nel suo paese, l’Iran.

È dal ‘75 che vive «nomade», soprattutto negli Stati Uniti. Ma da allora non ha mai interrotto la sua militanza artistica. Una continua ricerca, una continua sperimentazione che ora l’ha portata sulla strada del cinema. Donne senza uomini, il suo esordio nella regia, ha vinto il Leone d’argento a Venezia ed è arrivato nelle sale italiane per la Bim.

Il film è ispirato all’omonimo romanzo dell’iraniana Shahrnush Parsipur, scrittrice censurata ed esiliata a causa di questo suo testo-denuncia in cui racconta una pagina cruciale della storia dell’Iran: il golpe della Cia del ‘53, che portò alla destituzione del premier Mohammad Mossadeng – «colpevole» di aver nazionalizzato il petrolio iraniano – e al ritorno dello Shah Palevi.

Una storia dimenticata che Shirin Neshat racconta con stile personalissimo: colori saturi e sguardo onirico fanno da scenario alla storia di quattro donne che vivono ognuna a suo modo quei drammatici giorni di rivolta e repressione, così incredibilmente simili alle immagini degli studenti in lotta nella Teheran di oggi.

«È una storia che si ripete da sempre – conferma Shirin Neshat –. Prima siamo stati traditi dagli americani, poi dagli inglesi, poi dallo scià e ancora dalla rivoluzione islamica. Eppure il popolo iraniano non si arrende e continua a lottare». E a scontrarsi col cruento regime di Ahmadinejad. L’arresto del regista Jafar Panahi lo dimostra. «Jafar – prosegue – avrebbe potuto stare tranquillo, rimanere neutrale e continuare a fare i suoi film. Invece con grande onestà e coraggio ha scelto di esporsi e stare col suo popolo. Per questo è stato arrestato».

Secondo Shirin sono «proprio gli artisti con la loro immaginazione a fare più paura al regime. Per la liberazione di Panahi – dice – si devono impegnare tutti. Kiarostami, per esempio, avrebbe la forza per chiedere il suo rilascio. O meglio ancora leader come il vostro Silvio Berlusconi o Sarkozy. Ci vuole, insomma, una forte voce diplomatica: Hillary Clinton, magari».

Perché questa contro il regime è una battaglia durissima. Nella quale, prosegue l’artista, «le donne iraniane sono impegnate in prima fila. Io che da loro ho sempre tratto ispirazione so quanto siano forti e coraggiose. Sono delle vere combattenti da sempre schierate contro guerra e violenza. Non sono affatto delle vittime come si crede in occidente. Nelle nostre università la maggioranza sono donne, nonostante il governo cerchi di bloccare le iscrizioni. I movimenti femminili sono presenti in tutti i settori della società. E come dimostrano le manifestazioni di questi ultimi tempi le donne sono sempre in lotta».

Una lotta questa che ha avuto come suo tragico simbolo la giovane Neda, la ragazza uccisa per le vie di Theran durante gli scontri con la polizia. E che Shirin identifica con la protagonista del suo film, Munis. «Lei – spiega – non ha una sua idea politica definita, non è comunista, ma sente istintivamente il desiderio di libertà e vuole aiutare il suo popolo. Questo è il messaggio simbolico del mio film: la volontà di non arrendersi mai». Di combattere, insomma, anche e soprattutto contro gli integralismi, sempre più duri nei confronti delle donne. «Pensate – prosegue – che ai martiri dell’Islam viene promesso un paradiso fatto di vergini e minorenni… Mentre nella nostra cultura le donne vengono educate a vivere la propria sessualità con vergogna e sensi di colpa».

Però attenzione agli integralismi da qualunque parte si guardino, aggiunge Shirin. «Prendiamo la questione del velo. Io sono una credente ma laica e resto convinta che le donne debbano essere libere di scegliere cosa indossare. Non si può vietare il velo per legge. Religione e fede sono questioni individuali di cui non possono occuparsi i governi. L’Occidente sbaglia a non riflettere sulle scelte delle persone». Lei non solo da artista, ribadisce, ha a cuore prima di tutto la libertà individuale. «Del resto – conclude – lo stiamo vedendo in Iran, questa grande oppressione sul popolo ha prodotto un risultato contrario: un’esplosione di creatività artistica che per il regime è un incubo».