“Silenzio”, il libro che ha ossessionato Scorsese

Un pellegrinaggio in una terra sconosciuta, interamente da scoprire e da “salvare”, ma anche un viaggio dentro l’animo umano alla ricerca delle ragioni profonde del nostro essere e del nostro rapporto con Dio. È “Silenzio” il libro del giapponese Shūsaku Endō che Martin Scorsese ha finalmente portato al cinema (in sala dal 12 gennaio) dopo averlo “inseguito” per oltre vent’anni…

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“Ho letto questo libro più di vent’anni fa. L’ho riletto innumerevoli volte e ho deciso che ne avrei fatto un film. Silenzio ha uno spessore e un’intensità che raramente ho potuto apprezzare in un’opera d’arte”.

Così Martin Scorsese firma le note di copertina del libro di Shūsaku Endō, Silenzio, pubblicato in Italia da Corbaccio nel 2013 e ora in una nuova edizione fresca di stampa (gennaio 2017, traduzione dall’inglese di Lydia Lax, titolo originale dell’opera Chinmoku, che vuol dire appunto Silenzio).

Prima di affrontare l’argomento del libro, e del film che esce nelle sale italiane il 12 gennaio, vale la pena spendere due parole su Shūsaku Endō, nato nel 1923 e morto nel 1996, più volte candidato al Nobel per la letteratura e da molti considerato il “Graham Greene” giapponese, “per la delicatezza – così recitano ancora le note di copertina – con cui descrive la fragilità umana di fronte al mistero divino”. Vissuto a lungo in Francia e grande viaggiatore, lo scrittore giapponese è stato spinto dalla famiglia ad abbracciare il cattolicesimo da ragazzino, ad undici anni. Un evento che ha caratterizzato sostanzialmente il suo percorso letterario.

Soprattutto Silenzio, del 1966 che narra la storia di due monaci, Sebastião Rodrigues e Francisco Garrpe, che la Compagnia del Gesù spedisce in Giappone nel 1600 in cerca del missionario Cristōvão Ferreira, di cui si sono perse le tracce dopo che in Portogallo è giunta la notizia di una sua abiura della fede cattolica. Dopo un viaggio tormentatissimo – che Rodrigues descrive in un lungo prologo sotto forma di lettere fortunosamente giunte in Portogallo – i due giungono finalmente in Giappone, dove scoprono una realtà molto più dura di quella che avevano immaginato.

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Costretti a separarsi e traditi da un personaggio, Kichijiro, che ricorda da vicino la figura di Giuda Escariota, la ricerca del missionario apostata assume le sembianze di una discesa agli inferi, o meglio di un percorso di passione in terra sconosciuta e all’interno di se stessi, riproducendo una per una le tappe vissute da Cristo negli ultimi giorni di vita prima di immolarsi sulla croce per salvare l’umanità: tormento e tentazioni, dubbi e tradimenti, ricatti e disperazione, sofferenza fisica e dolore morale, attesa di pace nella vita eterna. E, soprattutto, invocazioni alle quali Dio risponde con un insistito, inspiegabile e doloroso silenzio.

“Il Giappone non è fatto per la religione cristiana”, obietta a Sebastião Rodrigues con tono suadente ma impietoso il più feroce persecutore dei missionari cattolici. E alla medesima conclusione sembra essere giunto Cristōvão Ferreira, quando confesserà i motivi della sua abiura allo stesso Rodrigues nel drammatico redde rationem che pone termine al lungo viaggio.

Come si può immaginare, l’identificazione tra luogo fisico e condizione umana rinvia direttamente a Cuore di tenebra –nonché all’adattamento di Coppola, Apocalypse Now-, dove Ferreira ricopre il ruolo di Kurtz e Rodrigues quello di Marlow. Ma i riferimenti letterari e cinematografici di Silenzio sono innumerevoli, spaziando da Graham Greene (Il fattore umano) a Werner Herzog (Fitzcarraldo), da Umberto Eco (Il nome della rosa) a Roland Joffé (Mission).

Il tutto immerso in un’atmosfera cupa che neppure l’intensa spiritualità dei personaggi e la bellezza del paesaggio descritto riportano a una dimensione di luce, mettendo piuttosto a confronto l’epoca dei samurai giapponesi con quella dell’Inquisizione spagnola. E ponendo una serie di interrogativi sul legame tra missioni cristiane e colonialismo, sullo sfondo di un conflitto tra civiltà che oggi si ripropone sotto nuove sembianze.

“I giapponesi percepirono molto chiaramente l’intento egemonico che si celava dietro il catechismo dei gesuiti. Il nesso tra vangelo cristiano e violenza coloniale è una ferita da cui la cristianità asiatica non si è ancora del tutto riavuta”. È quanto dice Martin Scorsese in un’interessante intervista pubblicata il 31 dicembre scorso su Alias de Il Manifesto, dove racconta anche di avere lavorato alla sceneggiatura di Silenzio come a una sorta di pellegrinaggio. E forse è proprio questo il senso più profondo del libro, così come sarà presumibilmente quello del film di Scorsese: un pellegrinaggio in una terra sconosciuta, interamente da scoprire e da “salvare”, ma anche un viaggio dentro l’animo umano alla ricerca delle ragioni profonde del nostro essere e del nostro rapporto con Dio.