“Silence”, l’ultima tentazione di Scorsese
In sala dal 12 gennaio (per 01) l’atteso ultimo film di Martin Scorsese tratto dall’omonimo libro di Shusaku Endo. Una nuova riflessione sulla fede del regista de “L’ultima tentazione di Cristo” che stavolta, però, si perde in un racconto discontinuo, complesso ma di poco fascino. Siamo nel Giappone del 1600 durante le persecuzioni contro i cristiani…
I temi saranno pure di bruciante attualità (lo scontro di civiltà su tutti) ma il film non convince affatto e lascia allo spettatore giusto una domanda: perché?
Perché quasi tre ore di racconto – seppure immerso in un rigoroso décor – sulla via crucis di due padri gesuiti, (Adam Driver che sparisce a breve per lasciare la scena ad Andrew Garfield) che nel Giappone seicentesco delle feroci purghe contro i cristiani, finiscono pieni di dubbi di fronte al silenzio di Dio nei confronti delle sofferenze umane?
Che Martin Scorse abbia rincorso per quasi tre decenni il progetto di portare al cinema Silenzio, il celebre romanzo dello scrittore giapponese Shusaku Endo (leggi recensione di Carlo Gnetti), ormai è storia. Che da ex seminarista e cattolico tormentato Martin abbia posto la fede, in termini dialettici tra peccato e redenzione, al centro del suo percorso artistico fin dai tempi di Mean Streets, beh, anche questo è noto.
Così come lo sono pure gli altri due titoli che alla spiritualità fanno esplicito riferimento: il “blasfemo” e super censurato L’ultima tentazione di Cristo e Kundun, ai quali Silence – il titolo del film è in inglese – si aggiunge chiudendo un’ideale trilogia sulla fede in cui Scorsese, ormai 75 enne, mette il punto con un film complesso ma a tratti addirittura apologetico.
Non si lesinano dettagli alle torture imposte ai cristiani dai feroci shogun: acqua bollente fatta cadere col passino per ustionare “al rallentatore” la pelle nuda del condannato. Teste mozzate, crocefissioni o peggio, il supplizio del pozzo in cui la vittima è appesa a testa in giù in una fossa, con un piccolo foro praticato sul cranio in modo che il dissanguamento sia progressivo e inesorabile.
Poi inquisitori feroci e impassibili capaci di ogni violenza contro “l’invasione” del cristianesimo e poveri contadini, straccioni e affamati che nel martirio vedono la via più veloce per il “paraiso”, per mettere fine alle sofferenze terrene. Tante immagini di Cristo e la Madonna, ancora, fatte calpestare ai cristiani impauriti per salvarsi la vita con l’abiura. E crucifissi di fortuna, anche minuscoli, ricavati da schegge di legno, capaci di dare conforto quasi estatico ai fedeli nascosti e sopraffatti.
E nel mezzo la ricerca del cuore di tenebra da parte dei due gesuiti. Ossia padre Ferreira (col volto di Liam Neeson) il loro maestro, “perso” alla fede cristiana dopo una dolorosa abiura che l’ha portato ad abbracciare il buddismo ed una moglie giapponese.
Un vero scandalo per la Chiesa a cui i due giovani sacerdoti non si rassegnano, così da mettersi sulle sue tracce e cominciare questo lungo pellegrinaggio attraverso un territorio che non è solo natura e paesaggi rarefatti, avvolti dalle nebbie, ma anche percorso interiore e spirituale.
Ricerca di una “verità” che nell’integralismo della fede diventa arma, scontro di civiltà e culture, appunto, come sottolinea il vecchio inquisitore nel confronto con padre Rodrigues in cui paragona Portogallo, Spagna e Olanda a delle concubine litigiose. Uno dei pochi momenti del film capace di rianimare il racconto lento e discontinuo.
Recitato in inglese e in parte in giapponese resta comunque difficile credere all’identità portoghese dei protagonisti: soprattutto l’ex Spiderman Andrew Garfield, ai cui tormenti esistenziali di padre gesuita del ‘600 non riusciamo a credere neanche un attimo. Sarà un nostro limite?
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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