In memoria di Gianni Celati, stupito narratore di pianura. Quel suo primo film trent’anni fa

In ricordo dello scrittore e documentarista Gianni Celati scomparso a 84 anni il 3 gennaio riproponiamo l’avventura creativa del suo primo film:”Strada Provinciale delle Anime”, un documentario tenero e ironico che ci parla del paesaggio come esperienza soggettiva, fuori da ogni luogo comune (!) turistico. Era la primavera del ’90 lo scrittore caricò a bordo di un pullman una sgangherata combriccola di amici e parenti che portò in gita lungo il Delta del Po. Allora li seguiva un’auto con a bordo il fotografo Luigi Ghirri …

 

Adesso tutti vogliono fare i viaggi a casa di dio per vedere cosa? Io dico la verità, in questo viaggio che abbiamo fatto non ho visto niente di speciale, però non mi è dispiaciuto. Abbiamo visto tanti posti e dappertutto ci sono tante cose, come qui. Ma dappertutto c’è gente come noi.
Dai dialoghi di Strada provinciale delle anime

Poco più di trent’anni fa, nella primavera del 1990, Gianni Celati – appena scomparso – era in giro per il Delta del Po con un’allegra e variopinta combriccola di parenti e amici, caricati su un torpedone azzurro alla stregua di una gita parrocchiale.
I due arzilli zii, più che ottuagenari, muratore l’uno e sarto l’altro, dallo sguardo vivacissimo e le spalle incurvate dall’età, hanno la forza evocativa di un’epopea eroica della gente qualunque e una tenerissima dolcezza nella narrazione di un proprio mondo fatto di cose quotidiane passate.

Il titolo del doc viene da un suggestivo cartello stradale, “Strada provinciale delle anime”, che una volta forse indicava la via per un piccolo cimitero, ma che non porta più da nessuna parte, ora è chiusa da un muro. L’autore racconta: “Lo avevo visto durante i sopralluoghi con gli operatori e sono stato attirato da quel nome fuori moda. Oggi più nessuno parla dell’anima, è una parola-tabù, a meno che non si tratti di questioni legate alla chiesa e ai preti”.

Le indicazioni impartite al “cast” sono quasi nulle, limitate a chiedere loro di non recitare, di comportarsi semplicemente come sempre, e di raccontare a volte quel che fanno nella vita. C’è una sollecitazione urlata nel megafono dall’aiuto-regista in un momento del girato in un luna park per una festa paesana, mestamente chiuso per il meteo uggioso: “Allinearsi per la foto! Fate finta di essere voi stessi!”.
Lo stralcio, che ha il valore primo di un ordine sul set, non sfugge anche all’interpretazione in forma di enunciato filosofico.

Questo è il primo passaggio di Celati dalla pagina allo schermo. Avviene quando è già uno scrittore amato e affermato, per libri come Lunario del paradiso (1978), Narratori delle pianure (1985) e Verso la foce (1988): il film è quasi un sequel per immagini di quest’ultimo. Una sorta di diario col quale l’autore racconta luoghi e sensazioni nel percorrere a piedi o con mezzi locali le strade e gli argini lungo l’asta del Po, da Piacenza al mare, e il cui procedere lento e apparentemente senza itinerario fissato diventa una sorta di teorizzazione per la lettura del mondo, fuori e dentro sé.

All’inizio del doc Celati descrive la propria azione con una dichiarazione che conferma quanto le due opere, Verso la foce e Strada provinciale delle anime, siano legate seppur con strumenti apparentemente diversi: «Lavorare per dettagli, usando la telecamera come una penna che la mano guida».

Oggi, che Celati non c’è più, rivedere quel film di trent’anni fa (è online ma anche in un cofanetto di 3 dvd con gli altri doc dello scrittore, Il mondo di Luigi Ghirri e Case sparse) è ritrovare i suoi temi intatti e attuali, rafforzati nel bel mezzo di discussioni su argomenti controversi, come l’attualissimo e reale overtourism.

Temi che rilanciano la necessità sempre più impellente di individuare nuove consapevolezze e nuovi modelli di approccio ai luoghi attraverso una nuova alfabetizzazione.
Nel contempo è una buona occasione per verificare quanto gli argomenti relativi ai paesaggi letterari e cinematografici, possibile alternativa tra le altre, siano stati sviluppati.

Strada provinciale delle anime si pone come parte inderogabile di tutta questa serie di ragionamenti mostrando quanto un altro approccio ai luoghi sia possibile.
Il termine visione viene usato da Celati come critica all’atto del guardare comune e al culto dell’oggettività, in sostanza al non vedere. La visione è per lui un momento epifanico, quindi l’immagine (sia essa in ambito letterario, fotografico, cinematografico) che vuole essere tale sarà «il lampo di un’apparizione che ci passa per la testa, e ci lascia l’effetto di una trasparenza del pensiero che stiamo inseguendo».

In un passaggio del film Celati racconta: «Un fotografo americano molto famoso, che era Ansel Adams, diceva che il paesaggio è il luogo dove finisce la natura, quindi il paesaggio era una parola disprezzabile, in un certo senso, qualcosa di oscuro e minaccioso nei confronti della natura. Forse, invece, il paesaggio è proprio per noi l’incrocio tra natura e cultura». E quindi trova la sua ragione nell’essere percepito dallo sguardo e necessita di un osservatore per esistere. È la visione che porta alla percezione soggettiva.

Il filtro culturale e sentimentale, per così dire, è ulteriormente dirimente per l’esperienza del guardare, come a dire che due persone che osservano il medesimo paesaggio descriveranno due paesaggi diversi. Come quando si guardano le nuvole e si gioca a dichiarare ognuno la forma che ci vede (tra l’altro Celati e Ghirri hanno prodotto insieme il meraviglioso catalogo Il profilo delle nuvole).

John Berger, Gianni Celati, Luigi Malerba, per citare alcuni tra tanti maggiormente impegnati sul tema, partendo da presupposti e svolgimenti individuali differenti affrontano il tema di cosa sia e di come si debba usare la visione, come una sorta di induzione alla sensibilità.

«Gli itinerari non sono segnati e precisi, ma appartengono agli strani grovigli del vedere», come scriveva lo stesso Ghirri in Paesaggio italiano, e producono i cosiddetti «strati del sentire» immortalati dalla macchina fotografica come dalle riflessioni che Celati ci consegna. Per Ghirri e Celati, seguendo il filo delle reciproche sensibilità, l’intorno è il riflesso dell’interno.

A questo riguardo è meravigliosa la sintesi resa da uno dei gitanti di Celati: «Allora, c’è uno che mi ha chiesto: “Cosa siamo venuti a vedere qui?”. Perché certuni, in viaggio, guardano solo quello che gli hanno detto di guardare e se non gli hanno detto cosa guardare si sentono persi. Ma io mi chiedo: è meglio sentirsi persi o guardare solo quello che ti hanno detto di guardare?».

Su tutto il lavoro sembra aleggiare la presenza dello spirito-guida Cesare Zavattini che ha avuto, assieme a Ghirri, un’influenza sostanziale sulla maturazione cinematografica ed estetica di Celati. Zavattini, oltre che per l’analoga esperienza letteraria e visuale realizzata con Un paese, il grande racconto di Luzzara fotografato da Paul Strand nel 1953, lo ha segnato con la sua teoria della qualsiasità, cioè la possibilità di trovare cose e motivi di autentico interesse in “qualsiasi” luogo ci si trovi.

Ghirri ha ancor di più inciso sul modo di vedere e di inquadrare le cose. Il film si presta a essere interpretato in molti modi; secondo lo scrittore Ermanno Cavazzoni, amico sia di Ghirri che di Celati e partecipante alla gita, è una metafora della vita stessa, che nasce dalla casualità e finisce nel nulla. Come l’itinerario sgangherato della corriera azzurra che spesso finisce nel nulla a causa del suo bizzarro e disubbidiente autista. Un nulla che, cruciale nodo dell’opera, è esattamente il luogo dell’inatteso e delle opportunità di stupore e di suggestione.

qui puoi vedere Strada provinciale delle anime (Italia,1991; durata: 58′)
oppure qui su RaiPlay