“The Truth”, la verità del giornalismo in salsa americana
In sala dal 17 marzo, dopo il passaggio alla Festa di Roma, il film del newyorkese James Vanderbilt, tratto dal libro inchiesta di Mary Mapes, sullo scandalo (presunto) che vide il giovane Bush jr “imboscarsi” per sfuggire al Vietnam. Un’inchiesta che costò la testa ai giornalisti della Cbs coinvolti nello scoop. Temi importanti, ma stile convenzionale…
La solita americanata? Sì e no. All’inizio il film The truth, debutto alla regia dello sceneggiatore James Vanderbilt, tratto dal libro Truth and Duty: The Press, the President and the Privilege of Power di Mary Mapes, giornalista il cui ruolo è intrepretato da Kate Blanchett, sembra contenere tutte le premesse del film edificante e politically correct, con storia a lieto fine e trionfo della verità a danno del sistema corrotto.
La parte buona dell’America che prevale sul lato oscuro, un po’ sul filone Tutti gli uomini del presidente, Erin Brockovich, eccetera eccetera. Poi per fortuna la trama vira sulle lacerazioni personali, sulle contraddizioni del mondo dell’informazione e su una china che porta la protagonista del film e il suo entourage verso una cocente sconfitta, peraltro testimoniata dalla storia reale. Una storia che non dà scampo alla scoop giornalistico di Mary Mapes e premia invece il secondo mandato elettorale del presidente George W. Bush, passato indenne sopra il (presunto) scandalo.
Il tutto sempre molto americano, ovviamente, con attori da urlo (a parte un Robert Redford che sembra tenuto su con gli stecchini – e a questo eravamo ormai abituati – anche se qui la parte sembra fatta su misura per lui, un vecchio anchor man sull’orlo della pensione), una vicenda che si dipana sul filo della suspense e una sceneggiatura che non perde un colpo. Tuttavia siamo sempre su un genere, quello del cinema innestato nell’impegno civile, che può lasciare alquanto freddino il pubblico europeo più smaliziato, tanto più se si basa su un dialogo ipertrofico e su un modo di girare e montare ormai standardizzato.
Dunque, la nostra Mary Mapes-Cate Blanchett è impegnata a ricostruire per la rete televisiva Cbs – siamo nel 2004 – un’oscura vicenda degli anni 70, quando il futuro presidente americano pare impegnato a imboscarsi per evitare la guerra del Vietnam. La giornalista ricorre a testimonianze non del tutto impeccabili – nella vivisezione dell’autenticità dei documenti il film dà il meglio di sé, memore delle spy stories americane di solida tradizione – finendo così per mettere in ballo la credibilità della Cbs e quella del suo commentatore di punta Dan Rather (Redford).
Dallo scoop, lanciato comunque un po’ avventatamente dalla rete tv, si passa così ai ripensamenti, ai dubbi, ai complotti veri o presunti, alle ritrattazioni, al processo alle intenzioni dei giornalisti, con il consueto ricorso ai colpi bassi, alle minacce di ritorsione via web, alle tv che cingono d’assedio i protagonisti invadendo la loro vita privata. E qui, sulla “passione” di Kate Blanchett che mette a rischio la sua carriera e ritrova la grinta di fronte a una commissione istituita per dire l’ultima parola su chi ha ragione e chi a torto, il film diventa più convincente e coinvolgente, senza tuttavia rinunciare ai consueti cliché.
Sempre ad usum del pubblico americano, comunque, dato che qui da noi sarebbe difficile solo immaginare una redazione tv come quella che ci viene illustrata nel film, una squadra di giornalisti che si muove in piena libertà e poi viene scaricata sul più bello e un ragionamento sull’etica dell’informazione che risponde ai canoni americani.
Interessanti, tuttavia, sono alcune annotazioni di contorno sul mondo delle tv e dell’informazione. Ad esempio quando gola profonda chiede a Cate Blanchett perché dovrebbe fare le sue rivelazioni a una tv invece che a un giornale a grande tiratura, lei risponde: “Perché i giornali non li legge più nessuno”. Oppure quando i nostri giornalisti d’assalto si interrogano sugli spazi sempre più ristretti del giornalismo d’inchiesta e si sentono assediati dalla logica commerciale della tv che non lascia scampo. Qui sì, siamo su un terreno che riguarda anche noi e il futuro dell’informazione, al di là dei confini. In sala dal 17 marzo per Lucky Red.
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