Come ti sequestro il dissidente, in famiglia

È “Il clan” di Pablo Trapero, Leone d’Argento a Venezia 2015. La storia vera di Arquímedes Puccio, faccendiere argentino noto alle cronache per avere organizzato una serie di sequestri con il coinvolgimento della sua rispettabilissima famiglia, prima per conto della dittatura militare e poi “privatamente”. In sala dal 25 agosto per 01…

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Uscirà il 25 agosto nelle sale italiane l’interessante film argentino Il clan (2015), prodotto da Kramer & Sigman films, Matanza Cine e El Deseo (di Pedro e Augustin Almodovar) in collaborazione con Telefónica Studios e Telefé e distribuito in Italia da 01.

Il film dell’argentino Pablo Trapero (Carancho, White Elefant), vincitore del Leone d’Argento al Festival di Venezia 2015, narra la storia vera di Arquímedes Puccio, faccendiere argentino che negli anni 80 diventò famoso per avere organizzato una serie di sequestri con il coinvolgimento della sua rispettabilissima famiglia, prima per conto della dittatura militare e poi, dopo il ritorno della democrazia, per continuare a trarne profitto privatamente.

Questa progressiva e agghiacciante trasformazione di obiettivi, dalla persecuzione politica alla prosecuzione di un metodo consolidato di sequestri e ricatti, costituisce il vero filo conduttore del film, che viene dipanato attraverso le immagini di repertorio trasmesse dalla tv argentina e i loro effetti sui discorsi e sulle dinamiche familiari, finendo per toccare corde profonde.

Per compiere le sue azioni criminali Arquímedes Puccio, interpretato magistralmente da Guillermo Francella (il pubblico italiano lo ha scoperto ne Il segreto dei suoi occhi), si avvale della complicità reticente ma efficace del figlio maggiore Alejandro, star emergente di una squadra di rugby che con il suo volto pulito garantisce affidabilità e copertura, e dell’omertà della famiglia.

Le vittime dei sequestri sono infatti adescate da Alejandro e poi nascoste in casa Puccio, mentre la loro detenzione interferisce sulla vita della famiglia se non altro per la passività e il silenzio dei suoi componenti di fronte alle urla dei prigionieri che provengono dalla cantina.

Quando Arquímedes capisce di non potere più contare sulla copertura dei colonnelli dopo che Raúl Alfonsín ha conquistato il potere, decide comunque di proseguire l’attività criminale per mantenere i privilegi di cui ha goduto finora, e lo fa stringendo ancora di più i vincoli familiari costruiti a loro volta sul ricatto e sulla paura. Ma la fine delle sue malefatte è segnata dalle vicende storiche e da una giustizia che prenderà il sopravvento dopo il ripristino della democrazia.

Come si può immaginare c’è materiale sufficiente per indagare sui rapporti tra padre e figlio, cosa che il film riesce a fare trasmettendo un’inquietudine quasi subliminale, e sulle scorie che la dittatura militare ha lasciato nella società argentina.

Contribuiscono a mantenere alta la tensione un montaggio sapiente, il susseguirsi di colpi di scena e soprattutto lo stagliarsi della gelida personalità di Arquímedes sullo sfondo di fatti che man mano sfuggono al suo controllo. Vale la pena sottolineare, come fanno i titoli di coda del film, che il protagonista della vicenda non si è mai riconosciuto colpevole e anzi ha ribadito la sua innocenza fino alla fine, a dimostrare l’imperscrutabilità dell’animo umano e dei suoi meandri più oscuri.