Se Escobar “parla” italiano ma vuo’ fa’ l’americano
Con Benicio del Toro nei panni del capo del cartello di Medellin, il “signore della droga” per eccellenza ucciso in Colombia nel 1993. È “Escobar”, esordio nella regia dell’attore italiano Andrea Di Stefano, già presentato alla Festa di Roma. Un film di genere che non arriva a toccare i modelli d’oltreocaeano a cui si ispira. In sala dal 25 agosto…
“Credo che Pablo Escobar sia il criminale più odiato e più ammirato del mondo, in misura quasi uguale. Ancora oggi in Colombia le persone pregano per lui e ritengono che fosse una brava persona, mentre altri lo considerano un mostro. Il fatto che fosse molto legato alla famiglia mi sembrava un ulteriore lato da esplorare”.
Così l’attore italiano Andrea Di Stefano, al suo debutto nella regia descrive il protagonista dell’omonimo film, Escobar, in uscita il 25 agosto nelle sale italiane per Good Films, produzione internazionale con a capo Dimitri Rassan e una serie infinita di coproduttori, tra i quali figura l’attore che presta il volto a Pablo Escobar, Benicio del Toro.
Prima ancora di riassumere la vicenda narrata, occorre dire che il film si affida principalmente alla presenza scenica di Benicio del Toro. “Se lui avesse rifiutato la parte – ammette lo stesso regista – il film non sarebbe stato realizzato. Era importante avere un Pablo che fosse imponente, un attore dotato di una presenza grandiosa quanto quella di Marlon Brando in Apocalypse now”.
Ora, senza arrivare a scomodare il colonnello Kurtz, va detto che Benicio del Toro aderisce perfettamente al suo personaggio assai controverso, e lo fa anche sul piano fisico dando fondo a tutte le sue risorse di attore. L’altro protagonista del film (Josh Hutcherson divo di Hunger Games), in confronto, è solo una pallida controfigura, come forse richiedeva lo stesso copione al di là delle esigenze di budget; mentre il personaggio femminile è affidato alla splendida attrice esordiente di origine spagnola Claudia Traisac.
Dunque: il surfista canadese Nick pensa di avere trovato il paradiso quando va in Colombia a trovare il fratello ex surfista da tempo trasferitosi lì: una laguna color turchese, una spiaggia bianca come l’avorio, onde perfette. Poi incontra Maria, una giovane mozzafiato del luogo. I due si innamorano pazzamente e tutto sembra andare per il meglio, almeno fino a quando Maria non presenta Nick a suo zio: Pablo Escobar.
Da qui prende il via una vicenda intessuta di traffici di cocaina, incarichi di fiducia ad alto tasso di rischio, tradimenti e omicidi, secondo i cliché più tradizionali del cinema americano. Il ragazzo è pieno di buoni principi, instaura un rapporto controverso col boss, che lo introduce nel suo mondo fatto di kermesse familiari, illegalità e ricatti, politica a buon mercato, gorilla pronti a tutto, regalie ai poveri delle città colombiane e bagni di folla.
Però Escobar vuole mettere alla prova il suo nuovo pupillo affidandogli un compito delicatissimo, nascondere un tesoro, che contempla un omicidio a freddo come contorno. Naturalmente la cosa non può funzionare, perché Nick deve accettare una filosofia di vita che, pur esercitando inizialmente un certo fascino su di lui, è agli antipodi con quella di un surfista canadese wasp al cento per cento. E così il film procede senza eccessivi scossoni verso un finale abbastanza scontato.
Che dire? Quando un regista italiano gioca a fare l’americano raramente raggiunge i modelli ai quali si ispira. In questo caso siamo nel solco del cinema convenzionale, anche se una figura squisitamente cinematografica come Pablo Escobar è descritta con una certa maestria. Forse ci si poteva aspettare qualcosa di più da un approccio europeo a un argomento del genere. Alla fine però Escobar è un film che si lascia vedere, per quanto destinato a lasciare poche tracce di sé. Certamente non si può non apprezzare l’impatto sul film di Benicio del Toro, con il suo respiro affannoso e lo sguardo luciferino. Senza contare il sorriso di Claudia Traisac, per gli appassionati del genere.
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