Vacanze in Europa. Spider-Man (adolescente) in cima alla tour Eiffel e ai botteghini
Sono trascorsi otto mesi dal Blip, Peter Parker, come la metà degli studenti della sua classe riportati in vita da Tony Stark (la cui presenza aleggia su tutto il film come un fantasma) mediante il Guanto dell’Infinito dopo una “morte” durata cinque anni, è ancora un sedicenne e va ancora al liceo.
Ma non tutto il male viene per nuocere perché tra gli strani coetanei forzatamente adolescenti (la vita è ripartita dalla stessa età anagrafica mentre il tempo per i vivi è trascorso regolarmente) vi è pure Mary Jane Watson di cui si scopre innamorato.
Per conquistarne il cuore, Peter punta tutto sulla vacanza in Europa, una gita scolastica che però verrà funestata dagli Elementali. Creature di un’altra dimensione divoratrici di mondi a cui si frappone un misterioso guerriero dimensionale.
Peter, pur intervenendo è ancora un adolescente, ragiona da adolescente quindi ignora i tentativi di contattarlo di Nick Fury, finché lo stesso colonnello a capo dello SHIELD non lo metterà all’angolo snocciolandogli in ordine tutte le sue responsabilità.
Nel segno dell’action comedy piuttosto che dell’avventura, questo secondo capitolo in solitaria del reboot del principale eroe-super della Marvel, Spider-Man, porta pienamente a casa il risultato, traboccante com’è di colpi di scena, battute umoristiche, gags divertenti e di quel sano ottimismo che da sempre definisce il registro di Speedy.
Eh già, perché Spider-Man è un eroe che di generazione in generazione si riafferma archetipicamente come incarnazione vivente d’ideali da cui non è possibile prescindere. Non solo, è il ragazzo, ancora non uomo, impacciato e maldestro, che sogna con un certo romanticismo da romanzo d’appendice, di dichiararsi alla sua bella in cima alla torre Eiffel ma per farlo deve superare in capacità di corteggiamento il temibilissimo Brad Davis che incarna l’incubo di ogni nerd adolescente tanto segretamente quanto disperatamente innamorato.
Il film restituisce con fedeltà la personalità di Peter Parker /Spider-Man, eroe giovane, spavaldo e al tempo stesso intimidito da un mondo che comprende a stento.
Il mondo degli adulti, con tutto il suo carico di calcolata e sconfinata malvagità. Una lontananza messa plasticamente in evidenza dall’età dei suoi avversari, distanti nei diversi film, come nel medium originale, intere generazioni. Il personaggio è in ultima analisi, una metafora, il paradigma del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, una metafora resa anche più evidente dalla presenza-assenza di Tony Stark, che è insieme l’artefice e il deterrente di molti dei mali che si scatenano intorno a Spider- Man.
Se in Homecoming, Adrian Toomes diventa l’Avvoltoio a causa della perdita dell’appalto per ripulire New York dalle macerie della Battaglia di New York (The Avengers) a favore della Damage Control e Stark Industries, Quentin Beck in Far from Home ha un conto aperto con Tony Stark, il quale anche da defunto continua ad essere il deus ex machina delle vicende che coralmente o singolarmente coinvolgono i personaggi del MCU.
Jon Watts, al suo secondo film sul super eroe di New York, miscela con mestiere i vari ingredienti di quella formula che dal 1962, anno in cui Stan Lee e Steve Ditko gli diedero vita, non conosce sconfitta editoriale, tant’ è che anche questo nuovo capitolo seppur definito da una scrittura e regia dal taglio seriale (la dimensione in “serie” rischia di appiattire mortalmente la creatività negando allo spettatore quei colpi d’ala che avevano contraddistinto le regie di Brian Singer, Sam Raimi e Kenneth Branagh sul fronte Marvel e Cristopher Nolan su quello della DC) piuttosto che su un lavoro più personale, sta sbancando il botteghino.
Tom Holland, misurato e convincente quanto basta, si colloca, esattamente come il suo Spider-Man, in una posizione qualitativamente intermedia, e cioè a metà strada tra l’inarrivabile Arrampicamuri firmato dal regista de L’Armata delle tenebre e interpretato da Tobie Mc Guire e l’inclassificabile The Amazing Spider-Man di Marc Webb.
Sul piano dell’intreccio, non si può non lodare il continuo cambio di passo che coinvolge la coralità di un cast esageratamente multietnico, sulla quale svetta l’apporto attoriale di un Jake Gillenhall al suo meglio nella parte di Misteryo, credibile e affascinante come non lo era da tempo.Perfetto, sia come eroe dal passato tragico a cui credere senza riserve, sia come cinico e disturbato illusionista, artefice di una colossale stangata. Ma al tempo stesso, rimane l’amaro in bocca per quell’epilogo collocato in fondo ai titoli di coda. Una nota dolente non tanto per il colpo di scena che rimanda a Captain Marvel, ma per il dozzinale e sciatto profilo macchiettistico in cui, senza paracadute, sta precipitando in caduta libera l’onnipresente Nick Fury.
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