“Fiore”, Romeo e Giulietta in riformatorio

Applauditissimo alla Quinzaine des réalisateurs il nuovo film di Claudio Giovannesi. Una storia d’amore tra due adolescenti in carcere, con interpreti presi dalla strada. Ma il regista non osa fino in fondo…

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Alì aveva gli occhi azzurri. Fiore li ha neri e profondi. E in realtà si chiama Daphne. Viene da una di quelle periferie romane che non danno futuro e, infatti, sconta un anno in riformatorio per rapina (ruba smartphone nella metro).

Claudio Giovannesi è un grande osservatore della realtà. Al suo esordio, col bel documentario Fratelli d’Italia, ci aveva raccontato quella degli immmigrati di seconda generazione, poi approfondita col “pasoliniano” Alì ha gli occhi azzurri. Ed ora arriva a Cannes nella Quinzaine des réalisateurs, applaudittissimo, con un nuova incursione nell’universo giovanile sottoproletario, stavolta dietro alle sbarre.

Non una storia di carcere, però ci avvisa il regista trentottenne, ma “una storia d’amore”. Ovvero, di riscatto attraverso l’amore. Quello che nasce nel riformatorio tra la “piccola ladra” e il diciottenne Josciua (scritto proprio così come lo promunciano i ragazzi). Lei di Roma, lui di Milano, e in comune i buchi dei piercing, i tatuaggi e la provenienza da un universo di nuove povertà ed emarginazione, di cui gli adulti, quando ci sono, sono i principali artefici. Proprio come il padre di Daphne (Valerio Mastandrea), agli arresti domiciliari e incapace di assumersi alcuna responsabilità, neanche l’ “affido” della figlia, che le permetterebbe di evitare l’anno di detensione.

Il carcere dunque c’è, e come. E contiene nel suo interno claustrofobico l’intera storia. Almeno fino al finale liberatorio. Una storia dall’andamento monotono come le giornate dietro alle sbarre. Le lettere tra i due ragazzi recapitate clandestinamente, i colloqui col padre e quelli “rubati” attraverso le finestre, i “richiami” minacciati dalla secondina “inutilmente” perfida che impone le rigide e folli regole carcerarie. A dirci, insomma, come sappiamo bene che la galera non serve a nulla, se non come “moltiplicatore” della criminalità.

Giovannesi, però, non osa fino in fondo. Così che la reale crudeltà del carcere, le dinamiche violente tra detenuti, i suprusi e i bullismi da capi branco, l’uso e l’abuso di droghe, qui cedono il passo a qualche sporadica lite, un pestaggio nella doccia, qualche tirata di capelli. Neanche fossimo al college. In tempi di Orange Is the New Black, la serie carceraria statunitense che ha ridisegnato l’immaginario dietro alle sbarre, è difficile “accontentarsi”.

Bravi sicuramente gli interpreti, presi dalla strada. Josciua Algeri che la realtà del carcere l’ha vissuta davvero e Daphne Scoccia, che fa la cameriera a Roma. Davvero brava, bella e dall’eleganza casual di una mannequin. A tratti però, un po’ troppo alla “Italian Beauty”

Fiore uscirà in sala per Bim il 25 maggio a Roma e Milano e dal primo giugno nel resto d’Italia.