Ricordanto il Che, tra “corpo e mito”. In un doc

È “Che Guevara, il corpo e il mito”, documentario del 2007 di Stefano Missio dedicato al grande rivoluzionario di cui in quella data ricorrevano i 40 anni dalla morte. Di seguito la recensione al film pubblicata su l’Unità nel 2007 …

Le immagini sono insistenti: la barba arruffata, gli occhi spalancati, il torso nudo con quei fori di proiettile sul costato, come nelle raffigurazioni dei martiri cristiani, come un cristo.

Da tutte le angolazioni, primi piani «sparati», campi lunghi, quasi un tormentone che rimanda all’infinito quella che è diventata una delle immagini che hanno fatto la storia del ventesimo secolo: il corpo senza vita di Ernesto Che Guevara sul lavatoio del piccolo villaggio boliviano de La Higuera dove fu assassinato il 9 ottobre del 1967.

A rimandarcele è Che Guevara, il corpo e il mito, documentario di Stefano Missio trasmesso su History Channel nel 2007 in occasione dei 40 anni della sua morte che l’intero pianeta ha celebrato. A dimostrazione di come quello del Che sia uno dei miti più vivi, vitali e «commercializzati» dei nostri tempi.

Tanto da aver attirato alla proiezione romana del documentario, alla Casa del cinema, una tale folla, di cui una buona parte è rimasta fuori. Giovani, moltissimi, ma anche spettatori di una certa età, tutti lì a seguire il racconto, quasi in forma di giallo, del mito Guevara, affrontato attraverso l’occultamento del suo corpo da parte dell’esercito boliviano, poi ritrovato, dopo trent’anni, da un gruppo di antropologi forensi cubani e argentini che hanno riportato all’attenzione del pianeta le spoglie del celebre rivoluzionario e dei suoi compagni.

Immagini che hanno fatto il giro del mondo ma che ancora adesso attirano l’attenzione del pubblico. Perché la curiosità intorno a quella morte, in principio «spacciata» come avvenuta in combattimento, è ancora fortissima. Non fosse altro perché per anni si sono rincorse voci e tesi su chi fosse stato a tradire il Comandante.

Ecco allora le testimonianze dei compagni del Che. Fra tutti il fedelissimo Benigno, uno dei tre guerriglieri sopravvissuti alla «campagna» in Bolivia. Ci racconta degli ultimi momenti, dell’arresto di Guevara l’8 ottobre del ‘67 e poi del suo assassinio, colpito a freddo da quel Mario Teran ritrovato negli anni Settanta da Roberto Savio, giornalista Rai che racconta di aver pagato col suo licenziamento dal servizio pubblico l’inchiesta che girò in Bolivia.

«Quello che non andò giù allora – sostiene Savio – è stata la lettura globale che diedi di quei fatti». Quasi un «accordo» tra Usa ed Urss, per far fuori un rivoluzionario troppo duro e puro, diventato scomodo anche per l’Unione sovietica, da lui messa sotto ac- cusa negli ultimi anni e quindi in grado di scatenargli contro tutti i partiti comunisti dell’America Latina. «Fatto sta che il Che da morto è più vivo che mai», continuano a ripetere i testimoni. Ed oggi in Bolivia, a La Higuera, si celebrano anche le messe in suo ricordo.