“Roma”, il cinema irraggiungibile di Cuaron. Vedetelo in sala (poi su Netflix)

Arriva in sala (poche ma buone, leggi quali) il 3, 4, e 5 dicembre “Roma”, il magnifico film (Netflix) del regista messicano Alfonso Cuaron, Leone d’oro delle polemiche. Con semplicità racconta il procedere della vita ed è capace di tratteggiare senza moralismi il mondo dei ricchi attraverso gli occhi dei poveri e il mondo maschile attraverso gli occhi femminili delle protagoniste (una domestica e la sua padrona). Un film, scrive il produttore indipendente Gianluca Arcopinto, che ti mette in crisi perché ti “fa chiedere se mai riuscirai a contribuire a costruire anche una sola delle sue tante sequenze memorabili”. Vedetelo al cinema, poi su Netflix dal 14 dicembre …

 

Stamattina non mi andava proprio di andare a recuperare Roma, il film in concorso di Alfonso Cuaron: non ho più l’età per esaltarmi a priori su nessun regista, cosa che un po’ invidio ai più bravi dei tanti studenti di cinema che frequento, neanche sul messicano che invece accende le menti e i cuori di molti.

E poi la giornata era cominciata male, con un tentativo goffo di andare a correre, naufragato miseramente per colpa di un paio di calzoncini che mi stanno troppo larghi e che calano vistosamente di metro in metro, col rischio di lasciarmi in mutande, costringendomi ad una semplice camminata veloce. Una cosa piccola e insignificante che può assumere nel mio umore un valore enorme.

Insomma, sono entrato in sala quasi per forza. Dopo pochi minuti però il film ha cominciato a catturarmi, con il suo lento narrare gesti e vite quotidiane anch’esse piccole e apparentemente insignificanti, che piano piano però hanno assunto un valore enorme. E quando, ad un certo punto, il racconto si impenna attraverso alcuni eventi drammatici ho cominciato a vivere il film con un certo disagio.

Perché Roma è un film che mette in crisi chi come me il cinema in qualche modo lo fa o meglio lo cerca di fare, avendo anche la pretesa di insegnare a molti altri come si fa o meglio si dovrebbe fare. Ti chiedi se mai riuscirai a contribuire a costruire anche una sola delle tante sequenze memorabili del film e non puoi che risponderti che no, non ci riuscirai mai, e rimarrai sempre relegato ai margini di un cinema troppo piccolo.

E allora esci dalla sala forse con l’umore peggiore di quello che avevi quando sei entrato, ma almeno con il privilegio nuovo di portarti dietro le emozioni le sensazioni i pensieri che un film come questo ti può dare. E non puoi non amarne la semplicità nel raccontare il procedere della vita; l’attenzione estrema ad ogni singolo dettaglio dell’inquadratura; il tratteggiare senza moralismi il mondo dei ricchi attraverso gli occhi dei poveri e il mondo maschile attraverso gli occhi femminili delle protagoniste; l’ efficacia della scelta di raccontare la Storia vista attraverso una finestra ma che all’improvviso ti entra dentro il luogo in cui ti trovi e ti assale inesorabile, a volte mostrandoti la morte; la tensione del pericolo di un mare in tempesta; il dramma di una gravidanza finita male; il valore forte e grande di un grazie, di un abbraccio, di un ti voglio bene.

Roma è tutto questo senza insistere su niente più di tanto, neanche quando ti racconta la codardia degli uomini di fronte alla responsabilità inaspettata di una eventuale paternità e l’incapacità di affrontare il distacco dalla moglie e dai figli non trovando il coraggio di comunicarlo, preferendo ogni volta di fuggire quasi di nascosto.

E quando è la madre, durante un viaggio simbolico di addio a quello che è stato e di inizio di quello che sarà, che trova lei il coraggio di comunicare ai propri figli che il padre se ne è andato di casa, che in fondo è la cosa più difficile da comunicare a dei figli, perché i figli tutto vorrebbero ma mai questa cosa, perché i figli sperano sempre, fino all’ultimo respiro, di avere accanto una mamma e un papà, ecco in quel preciso momento io ho pianto. E piangere al cinema è un privilegio che pochi riescono a regalarti.