Se la vita è il vero film. Almodovar da Palma d’oro, passa da Cannes e arriva in sala
Passato a Cannes in concorso e in arrivo dal 17 maggio nelle sale italiane (con Warner Bros), “Dolor y gloria”, il nuovo film di Pedro Almodovar tra i suoi ventindue, il più autobiografico, il più vero, il più struggente. Con Antonio Banderas, alter ego dello stesso regista, nei panni dell’autore in crisi che sceglie di fare i conti con le “glorie e i dolori” della propria vita. Attraverso piccoli flash, sfumature dell’anima e sinestesie del cuore, Pedro compone un raffinato diario intimo, una ricerca del tempo perduto personalissima e universale. Da non perdere …
“È dramma o commedia ?”, chiede la giornalista a Salvador Mallo, il regista tornato sul set dopo una lunga crisi creativa. E lui con sguardo sincero: “Non lo so”.
Chi di noi, infatti, potrebbe mai azzardare una risposta sincera ad una domanda simile sulla nostra vita? Almodovar l’ha fatto con questo suo ultimo film, tra i suoi ventindue, il più autobiografico, il più vero, il più struggente.
Già premiato da pubblico e critica in Spagna, di passaggio in concorso a Cannes e da oggi, 17 maggio, nelle sale italiane (con Warner Bros), Dolor y gloria, nella sua durata perfetta di poco più di un’ora e mezzo, è un caleidoscopio – molto colorato come sempre il suo cinema – di passioni.
Ma non più il labirinto di giovinezza che consacrò il sodalizio artistico tra il regista de La Mancha e l’aitante Antonio Banderas, qui nei panni superlativi di alter ego di Pedro, quanto piuttosto lo sguardo consapevole e sincero di un uomo, un artista molto in là negli anni, che sceglie finalmente di fare i conti con la propria vita, rimasta bloccata da una brutta depressione condita da crisi creativa.
Fare i conti, insomma, con la gloria, la notorietà planetaria regalatagli dai suoi film, ma anche il dolore, l’anatomia dei dolori, quelli fisici scannerizzati con eleganza attraverso lastre e grafiche, dall’emicrania alla sciatica, dall’isonnia all’ulcera, fino a quelli dell’anima.
Dolori mai sopiti come il lutto per la madre, evocata da giovane nei grembiulini a fiori di Penelope Cruz e da vecchia attraverso lo sguardo penetrante di Julieta Serrano, a cui affida dettagli struggenti della sua infanzia: l’uovo da calza di legno con cui gli cuciva i calzini bucati, il rosario più vecchio con cui vuole essere seppellita, così che il nuovo possa restare a lui, i panni lavati al fiume e stesi sui cespugli.
Salvador Mallo, protagonista del film, sovrappone passato e presente in un flusso continuo di memoria. Dove lo spunto è l’incontro con l’interprete del suo primo film, con cui trent’anni prima finì più o meno a pesci in faccia. Ritrovarlo oggi, è un tuffo nel passato, compresi vecchi vizi, l’eroina soprattutto e vecchi amori, quel Federico così importante negli anni Ottanta e che oggi si è rifatto una vita con moglie e figli a Buenos Aires.
È un trionfio di passioni, dicevamo, questo Dolor y gloria che Pedro, sapiente architetto dei sentimenti, costruisce attraverso piccoli flash, sfumature dell’anima e sinestesie del cuore, componendo un raffinato diario intimo, una ricerca del tempo perduto personalisimma e universale. Che a tratti fa venire i brividi, commuove e fa sorridere. Proprio come la vita.
Da non perdere.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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