Tre scrittrici da grande schermo
Geling Yan, Irène Némirovsky ed Elvira Dones: i loro romanzi ispirano il cinema internazionale. Per scoprirle ecco in sala: Lettere di uno sconosciuto, Suite francese e Vergine giurata, storie di donne travolte dalla Storia.
Dalla Cina della Rivoluzione culturale, dalla Francia occupata dai nazisti, dall’Albania profonda imprigionata dall’arcaica cultura patriarcale del kanun. Coincidenza – o tendenza – sono in sala tre pellicole ispirate ai romanzi di tre scrittrici che, nonostante le epoche diverse, col cinema hanno avuto e hanno molto a che fare.
È il caso di Geling Yan, tra le scrittrici contemporanee cinesi più prolifiche, acclamate e premiate internazionalmente, anche come sceneggiatrice per il cinema e la tv. Classe 1958, di Shanghai, Geling Yan ha fatto parte dell’esercito di liberazione popolare e, fin da piccola, si è dedicata alla danza che tanto spazio trova nelle sue pagine. Attualmente vive negli Stati Uniti, scrive anche in inglese e i suoi romanzi, tradotti in tutto il mondo, affondano a piene mani nella tormentata storia del suo paese, tra epica e melodramma. Lo sa bene Zang Yimou, che nei suoi testi ha trovato ispirazione per i suoi ultimi film. The flowers of war del 2011, kolossal (94 milioni di dollari! il più costoso della cinematografia cinese) ad alto tasso di spettacolo, tinte fosche e sentimenti edificanti col premio Oscar Christian Bale nei panni del protagonista. Il film prende le mosse da I tredici fiori della guerra, l’unico dei suoi romanzi pubblicato in Italia, da Rizzoli. Qui Geling Yan (non stupitevi se trovere scritto il suo nome anche al contrario, in cinese si mette prima il cognome!), ispirandosi ad una storia vera, narra le infelici sorti di un gruppo di studentesse cattoliche di Nonchino, nel 37, al momento dell’occupazione giapponese. Per sfuggire alla violenza degli invasori le candide ragazze si rifugiano tra le mura del collegio che dovranno condividere con i soldati cinesi e ad un gruppo di giovanissime prostitute. La storia più recente, invece, fa da sfondo a Lettere di uno sconosciuto, presentato fuori concorso a Cannes 2014. Dopo la fase kollosal (i wuxia) con spettacolari imperatori, pugnali volanti e città proibite, l’autore di Lanterne rosse torna ai toni intimisti con quest’ultimo film, tratto da The criminal Lu Yanshi in cui la scrittrice cinese ripercorre i difficili anni della Rivoluzione culturale, attingendo in parte ad una storia di famiglia. Il criminale del titolo, infatti, è un mite professore finito in carcere per “attività sovversiva” che una volta fuori si ritroverà al fianco di una moglie che, per il dolore vissuto, non lo riconoscerà più. Con la sua musa (ed ex consorte) Gong Li, nei panni della dolente moglie in eterna attesa, Zang Yimou sceglie le corde del melodramma per narrare una storia di simbolica amnesia, commovente, fin troppo.
Nella storia, ancora, ma stavolta quella della Francia occupata dai nazisti e vissuta in prima persona dalla celebre scrittrice Irène Némirovsky, si immerge il film Suite francese, dell’inglese Saul Dibb, frutto di una cooproduzione europea. In questo caso è l’amore impossibile tra un ufficiale delle Ss e una giovane e bella francesina vittima dell’occupazione, a viaggiare sulle corde del melodramma, qui ben più convenzionale e televisivo.
Il vero film – che non vediamo – è invece la vita stessa della scrittrice di origini russe, ebrea, rifugiatasi in Francia con la sua famiglia di ricchi banchieri per sfuggire ai soviet e morta ad Auschwitz nel ’42. Suite francese è il suo ultimo romanzo, incompiuto, rimasto per quasi cinquant’anni in una cassa, finché la figlia Denise Epstein, ha ritrovato le pagine ingiallite del manoscritto di sua madre dandole alla stampa nel 2004. Diviso in cinque parti – ne scrisse solo due -, nelle intenzioni di Irène Némirovsky, il libro avrebbe raccontato tutte le fasi dell’occupazione nazista fino al termine della guerra che, purtroppo, non vide mai. Riscoperta a metà anni duemila, grazie alla pubblicazione postuma di Suite francese, la scrittrice ha conosciuto fama e successo tra gli anni Trenta e Quaranta. La notorietà, infatti, arriva nel 29 con la novella David Golder tanto da approdare a teatro e sul grande schermo. Jean Duvivier ne trae La beffa della vita – il primo sonoro del cinema francese -, nel ’31, in cui mette in scena il dramma di questo banchiere di origini ebree sicuro di poter comprare tutto col denaro. Dello stesso anno è pure Le bal che diventa film – in italiano, Alle porte del gran mondo – per la regia di Wilhelm Thiele, in cui è di nuovo l’alta società ad essere protagonista, nel racconto di una ragazzina che “boicotta” il gran ballo di famiglia per ritrovare l’attenzione dei genitori. Seguono altri successi editoriali fino all’ultimo, nel 1940, I cani e i lupi che sarà il suo ultimo romanzo: nella Francia nazista, per lei ebrea, sarà ormai impossibile pubblicare.
Ed eccoci dunque a tempi più vicini. Ma con un racconto immerso in un mondo arcaico e patriarcale e una scrittrice che lo racconta, anche lei sfuggita a un regime (quello di Enver Hoxha) e testimone della condizione dei migranti. Stiamo parlando di Elvira Dones, scrittrice, giornalista e documentarista albanese, che dal suo primo romanzo, l’autobiografico Senza bagaglio non ha mai smesso di raccontare, senza troppe indulgenze e con taglio quasi documentaristico, i drammi della sua terra, dalla tratta delle giovani albanesi (Sole bruciato, Feltrinelli 2001) alla tragedia del conflitto in Kosovo, scatenato dalla Nato nel 1999 (La piccola guerra perfetta, Enaudi, 2011). Abituata alle inchieste giornalistiche Elvira Dones, osserva, studia, ricerca, approfondisce. Come nel caso delle “vergini giurate”: donne che si fanno “uomo”, facendo voto di castità, spesso per sfuggire a matrimoni combinati o ai vincoli asfissianti di una cultura patriarcale arcaica. Succedeva – ma ce ne sono ancora oggi – in Albania, su al Nord, tra le valli e le montagne che si spingono fin dentro al Kosovo, dove la legge del Kanun declina la vita tutta al maschile, lasciando alcuno spazio alle donne, soprattutto se fuori dai binari obbligati di moglie e madre. Elvira Dones le ha conosciute di persona, le ha intervistate, ed ha realizzato un documentario per la tv svizzera. E quando tutto questo è sedimentato dentro di lei ha scritto il romanzo, Vergine giurata (Feltrinelli 2007) che è diventato il film d’esordio di Laura Bispuri, ha rappresentato l’Italia alla Berlinale e continua a raccogliere riconoscimenti nei festival, soprattutto per l’interpretazione di Alba Rohrwacher in dolenti panni maschili.
È lei la vergine giurata, la giovane Hana, un’orfana che viene accolta nella casa di una coppia di montanari, con una figlia che le diventerà sorella e che le offrirà, molti anni dopo, l’occasione di “fuga” in Italia – nel romanzo sono gli Stati Uniti – , dove andrà a ritrovarla nelle vesti maschili di Mark e dove noi la conosciamo. Con immagini rarefatte, dialoghi ridotti all’osso e un’incombete oppressione, la stessa che vive Hana costretta nei panni di Mark, la regista ci mostra il cammino verso la ritrovatà identità femminile della protagonista. Lasciando, piuttosto, il desiderio di saperne di più sull’intero mondo che l’ha spinta alla scelta estrema di rinunciare al suo essere donna.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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