Tutti con Ken Loach, vecchia quercia dalle radici robuste. Al cinema con Daniele Vicari
Il 16 novembre al cinema (per Lucky Red) “The Old Oak”, ultimo atteso titolo di Ken Loach che dialogherà con il pubblico al Giulio Cesare di Roma dopo la proiezione delle 19. Con lui Daniele Vicari in diretta streaming con altre sale in tutta Italia (prenota qui). Ad 87 anni Ken il rosso torna a sorprendere con la forza e la vitalità del suo cinema resistente. La vecchia quercia del titolo è il nome dell’ultimo pub aperto nell’ex paesino minerario del Nord Est dell’Inghilterra, dove vediamo rinascere la solidarietà sopra le guerre tra poveri che la spietata logica della globalizzazione scatena …
The Old Oak, passato in concorso al Festival di Cannes, ventisettesimo film del regista 87enne e suo testamento (così dice, ma speriamo di no, si è già ricreduto in passato) potrebbe essere una buona definizione per Ken Loach e la sua benedetta, cocciuta lotta di resistenza.
La vecchia quercia del titolo è il nome dell’ultimo pub aperto nell’ex paesino minerario del Nord Est dell’Inghilterra, contea di Durham, con l’insegna che cade a pezzi e i vecchi che vengono a bersi una pinta di birra. Ma è il simbolo di tante cose: la memoria dell’ultimo sciopero a oltranza dei minatori, nel 1984 di Margaret Thatcher, la solidarietà che può rinascere sopra le guerre tra poveri che la spietata logica della globalizzazione scatena.
Nella stessa regione, quasi ai confini con la Scozia in cui Loach aveva girato Io, Daniel Blake (Palma d’oro a Cannes 2016), il Governo britannico insedia una pattuglia di rifugiati siriani. La rabbiosa accoglienza dei locali è cronaca vera del 2016: tra l’altro l’Amministrazione ha comprato gli alloggi per quattro soldi sulle aste online, e di riflesso deprezza le case di tutti. I ragazzini del quartiere vedono pacchi di vestiti offerti agli intrusi, addirittura una bicicletta: “La vorremmo anche noi una bicicletta!”.
L’incontro provvidenziale nasce da un’aggressione: uno scalmanato ha rotto la macchina fotografica che è l’unico bene di Yara (Ebla Mari), e il proprietario del pub, figlio di minatori, TJ Ballantine (Dave Turner) l’aiuta a pagare la riparazione. Le chiacchiere al pub condensano l’intero repertorio (anche comprensibile) dei residenti contro gli intrusi: a scuola i loro bambini non sanno una parola di inglese, i nostri figli resteranno indietro, eccetera eccetera. Ma Yara sa fotografare, le donne del paese la adottano e lei si accorge che miseria e problemi sono comuni.
Nel retrobottega del pub, ormai deposito di masserizie ma tappezzato di foto-ricordo delle lotte passate, si organizza un pranzo gratuito per tutti. “Quando si mangia insieme ci si unisce”, ripeteva sua madre a TJ quando il paese organizzava mense per sfamare i figli di minatori in sciopero. La memoria può insegnare qualcosa. E gli “sporchi immigrati” aiutano l’uomo a superare un lutto tremendo: la cagnetta che è la sua sola compagnia viene dilaniata dai pitbull dei razzisti locali.
“Non è carità, è solidarietà – cerca di far capire Ballantine ai suoi compaesani – è gente che si vergogna di non poter sfamare i propri bambini in uno dei Paesi più ricchi del mondo”. Isolato e sbeffeggiato via social quando il retrobottega andrà a fuoco, sarà un’imprevedibile mobilitazione emotiva del paese, sull’onda di una notizia tragica dalla Siria, a salvare TJ dal suicidio.
Il cinema di Ken Loach, soprattutto da quando fa coppia fissa con Paul Laverty sceneggiatore, è sempre a tesi: è battaglia politica. Anche per questo lo amiamo. Ma l’ultimo trotzkista del cinema (detto con l’infinito amore e la profonda amicizia che da anni mi legano a lui) dà il suo meglio quando racconta i suoi proletari di casa. Per questo gli habitués del pub – quasi tutti attori non professionisti – e il figlio di minatore diventato barista (sono dati biografici reali di Dave Turner, che è un ex sindacalista) risultano più vivi e autentici dei rifugiati siriani.
Fare cinema che milita per la speranza, oggi, è tutt’altro che facile. “Forza, solidarietà, resistenza”, si legge sullo stendardo che i siriani hanno confezionato per gli amici inglesi. “Ma io suggerirei di aggiungere: agitare, educare, organizzare – dice Loach a Cannes – perché senza l’organizzazione non potremo mai vincere la nostra battaglia per un mondo migliore”.
Anche la speranza è una questione politica. “È la fiducia – per il regista – che le cose possano cambiare, nonostante le destre oggi al potere in mezza Europa. Dobbiamo armarci di questa speranza politica per smascherare le loro menzogne. Noi – Paul e io – crediamo fermamente che un giorno chi sta dalla parte giusta potrà vincere”. La vecchia quercia ha radici robuste.
Teresa Marchesi
Giornalista, critica cinematografica e regista. Ha seguito per 27 anni come Inviato Speciale i grandi eventi di cinema e musica per il Tg3 Rai. Come regista ha diretto due documentari, "Effedià- Sulla mia cattiva strada", su Fabrizio De André, premiato con un Nastro d'Argento speciale e "Pivano Blues", su Fernanda Pivano, presentato in selezione ufficiale alla Mostra di Venezia e premiato come miglior film dalla Giuria del Biografilm Festival.
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