Anton Čechov nell’isola dei reietti. La crisi di coscienza del grande narratore nel (bel) film di René Féret
In sala dal 26 gennaio (con Wanted Cinema) “Anton Čechov” l’ultimo film dell’attore e regista francese René Féret. Il racconto del grave momento di crisi vissuto dal grande narratore russo all’indomani della morte di uno dei fratelli. Il viaggio nell’isola di Sachalin, infernale colonia penale degli zar, il desiderio di documentare le barbarie del regime, un modo per impegnarsi per un’ideale di giustizia sociale che poi racconterà in un libro. Il regista narra la vicenda con stile cecoviano, straordinari tutti gli attori …
René Féret, l’attore e regista francese mancato nel 2015, ha sempre coltivato un interesse particolare per i temi legati alla famiglia come i diversi film sui Gravets, una famiglia di pura invenzione che vive nel nord della Francia le cui vicende, tuttavia, riportano spesso fatti biografici della propria.
Non solo, nei suoi film ha spesso impiegato familiari come attori o collaboratori.
Ma Féret non ha indagato e rappresentato solo i rapporti familiari propri, in Nannerl, la sœur de Mozart (2010) è forte l’attenzione posta alle dinamiche familiari della famiglia Mozart e le scelte paterne che hanno relegato un’artista estremamente dotata al ruolo di supporto alla carriera del geniale fratello Amadeus.
A maggior conferma di quella che potremmo definire quasi come un’ossessione per i legami familiari arriva sugli schermi dal 26 gennaio, grazie alla distribuzione di Wanted Cinema, Anton Čechov (2015) l’ultimo suo film.
La storia, scritta dal regista francese, racconta di Čechov (Nicolas Giraud) che all’attività di modesto medico di campagna affianca quella di scrittore di racconti sotto pseudonimo per integrare i guadagni coi quali sostenere una numerosa famiglia che pesa pressoché interamente sulle sue spalle.
Il riconoscimento delle sue qualità di scrittore (compresi gli apprezzamenti da parte di Lev Tolstoj, interpretato da Frédéric Pierrot) e il significativo miglioramento delle condizioni economiche convinceranno Čechov ad abbandonare la medicina per darsi completamente alla scrittura raccogliendo sempre più significativi successi.
Tuttavia la morte prematura di uno dei suoi fratelli provoca nello scrittore una profonda crisi di coscienza che gli fa ipotizzare l’abbandono dell’attività letteraria per tornare alla medicina che considera una missione autenticamente sociale e utile di quanto non sia lo scrivere. Convinto a non lasciare la letteratura da familiari e amici sceglie però di intraprendere quel viaggio che aveva ipotizzato con l’adorato fratello morto: raggiungere l’Isola di Sachalin, l’isola-carcere zarista situata all’estremità orientale della Russia e a poca distanza dal nord del Giappone, a 11.000 km dalla sua casa nei dintorni di San Pietroburgo e popolata da 10.000 prigionieri in condizioni subumane.
Una decisione sicuramente motivata dal desiderio di documentare le barbarie del regime e da quello che sente essere un debito verso il fratello ma è anche una fuga dal privato familiare e da una poco convinta, anche se complessa, situazione sentimentale.
Qualunque sia stato il motivo del viaggio e il perché di quella controversa destinazione, Čechov qualche indizio lo aveva già sparso in un racconto pubblicato appena prima della partenza.
In Una storia noiosa dice: spaventosa è la vanità una vita non riscattata da alcuna «idea generale», ovvero da un plausibile surrogato del «dio dell’uomo vivente». Come ad anticipare che l’esperienza di Sachalin sarà il proprio modo per impegnarsi per un’ideale di giustizia sociale.
Al termine di un interminabile viaggio con ogni possibile mezzo di locomozione, in ogni condizione meteorologica e logistica possibile, dopo tre mesi di viaggio, eccolo a Sachalin dove comincia a interrogare i prigionieri, scoprendo poco a poco un vero inferno fatto di miseria morale e fisica, di prostituzione, di sevizie ed esecuzioni…
Ma anche a Sachalin, Féret, mette ancora una volta l’accento sui legami familiari: la famiglia del medico che lo ospita, quella della prostituta con tre figlie che non sanno chi siano i padri, il galeotto servitore che, benché il regime carcerario lo consenta, preferisce tenere la famiglia lontana da quello squallore e che ha come unica speranza che i figli stiano bene e che siano intelligenti.
Il resoconto di quel lungo soggiorno è raccolto dallo scrittore nello stupendo (per noi oggi ma trascurato all’epoca) L’isola di Sachalin (ed. Adelphi, 2017).
C’è però, nel film, un ulteriore piano caratterizzato da forte presenza femminile: la sorella Macha (Lolita Chammah), Lika (Jenna Thiam) nel ruolo della passionale amante e Anna la tenera e rassegnata maestra di Sachalin (Marie Féret, figlia del regista).
Tre donne come le tre protagoniste de Il gabbiano le cui prove vengono mostrate nel film accompagnate dal disappunto di Čechov per la sciatteria degli attori in scena.
Uno dei pregi ulteriori del lavoro di Féret sta anche nell’aver voluto raccontare la storia del grande scrittore in uno stile cechoviano, se così si può dire, ma il risultato è dovuto anche alla bravura degli attori. Ed è la forza dell’interpretazione di Giraud, soprattutto, a fare la differenza.
Gino Delledonne
Gino Delledonne
Architetto e docente universitario a contratto. Ha collaborato alle pagine culturali di vari giornali tra i quali "Diario" e "Archivio". Devoto del gruppo garage punk degli Oblivians.
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