Aspettando Bookciak, Azione! 2019. Cominciamo dai libri: Nina, la badante che amava Cechov

In attesa di Bookciak, Azione! 2019 (la premiazione il 27 agosto alle Giornate degli Autori veneziane) presentiamo l’ultimo dei quattro libri che faranno da traccia ai bookciak. È “La lettrice di Cechov” opera prima di Giulia Corsalini (nottetempo) che insegue l’esistenza di Nina, donna colta che ha lasciato Kiev per mantenere la figlia agli studi universitari e il marito malato. Una colta lettrice di Cechov capace di affrontare le prove della vita, della sofferenza, le passioni, le speranze vive e quelle negate, le paure. Ossia il “nucleo vitale” della lettera, quell’autenticità che la giustifica e può renderla necessaria …

Confesso (con senso di colpa) che spesso mi capita di troncare la lettura di un romanzo alla prima riga, troppo banale la scrittura, troppo banale si preannuncia tutto il resto. Capisco che non sempre si può incappare, ad apertura di libro, in un fascinatore “chiamami Ismaele”, carico di ogni ben di dio, ma uno sforzo lo si potrebbe fare per catturare il lettore, per non costringerlo a prove di resistenza.

Mi è capitato anche in questo caso, di fronte alla prima pagina de La lettrice di Cechov di Giulia Corsalini. Mi sono imposto di continuare, pur temendo un iperletterario girotondo intorno al grande russo, senza capo né coda narrativi, senza una storia, senza una invenzione, senza una ragione se non quella dettata dall’ambizione di rifare, di ripetere e di specchiarsi nella prosa di un altro, troppo grande comunque per essere raggiunto.

Non mi sono fermato. Mi sarei potuto arrestare poche righe più avanti, alle prese con “Macerata, una piccola cittadina universitaria, collinare e luminosa, dove lavoravo come badante”. Universitaria, collinare, luminosa: lo sappiamo… Credo che scrivere sia scrivere e poi sottrarre per giungere all’essenziale. Se non rimane nulla, pazienza.

Badante: di badanti ne ho viste tante e mi capiterà di vederne altre, prima clandestine e nascoste e sottomesse a caccia di un permesso di soggiorno (motivo che si ritroverà nel nostro romanzo), poi contrattualizzate e onerose. Ero pronto ormai a subire la solita trama di dedizione non ripagata, di generosità senza rispetto…

Non mi sono fermato. Pagina dopo pagina ho scoperto una scrittura semplice, essenziale, pulita, che dettava un ritmo, che mimava un flusso continuo, pacato e avvolgente, che mi ha afferrato e che mi ha costretto a proseguire. Non lo saprei definire meglio: potrei pensare a certa musica che esordisce con un motivo e lo celebra in una infinità di variazioni fino alla ripresa finale in una esplosione di suoni e di emozioni.

Non mi sono fermato. Così ho scoperto la storia di questa lettrice di Cechov, Nina, donna colta, che ha lasciato Kiev per guadagnare tanto da mantenere la figlia agli studi universitari, con un marito malato che tuttavia non la frena nel suo progetto di emigrazione (in genere i mariti delle badanti ucraine hanno il vizio dell’alcol e degli amori extraconiugali e si divorano le rimesse del mogli). A proposito di donne colte: ho conosciuto badanti colte che citavano romanzi e poemi e che rimpiangevano il socialismo reale dell’Unione sovietica che aveva consentito loro di studiare gratuitamente…

Continuo. La lettrice colta di Cechov approfitta del tempo libero per rifugiarsi nella biblioteca dell’università. Un professore, amareggiato, deluso dai colleghi, dagli allievi e soprattutto dalla moglie che lo ha mollato, la nota e la osserva. Incuriosito le si avvicina.

Nina gli spiega che vorrebbe approfondire il rapporto tra Cechov e la cultura italiana e vorrebbe scriverne. Nasce qualcosa… Sta di fatto che il professore riesce ad assegnare alla badante ucraina un incarico, un contratto temporaneo di insegnamento. La badante si fa docente. Bravissima, secondo quanto riusciamo a capire… Qualcosa nasce tra il professore e Nina, qualcosa di reciproco: stima, affetto, solidarietà tra anime sole. Qualcosa che nessuno dei due riesce a esprimere, il professore perché disilluso e pronto al rifiuto per autodifesa, lei perché avverte la distanza dettata dai ruoli, teme il professore, non sa rischiare, sa bene invece reprimersi.

Il marito di lei morirà, lei non lo seguirà negli ultimi momenti di vita e questo incrinerà il rapporto con la figlia. Tornerà a Kiev. Comincerà una nuova vita, lavorando all’Istituto di Lingua e Cultura russa di Kiev. Il professore la richiamerà anni dopo in occasione di un convegno su Cechov…

Non dirò altro, non voglio rivelare il finale. Dirò solo che, tornata a Macerata, nella casa dove aveva assistita una anziana in pessime condizioni di salute, ancora in vita tuttavia, incontrerà la sua sostituta, un’altra badante ucraina, la giovane Lyzaveta, che insegue il solito permesso di soggiorno per poter rientrare per breve tempo a casa e rivedere la figlioletta.

La nostra lettrice di Cechov accompagnerà Lyzaveta, tra uffici gremiti da una desolata umanità, tra le mille peripezie, le mille burocrazie, le mille fatiche che la separano dall’agognato foglio che legittima la sua presenza in Italia. Insieme ce la faranno. Nina sceglierà di disertare il convegno, per responsabilità, perché sente di dover prima di tutto aiutare quella giovane che non sa come arrangiarsi, povera di parole italiane, malgrado legga libri sul suo portatile, spaventata, angosciata, indifesa, “alleviare la sorte” dice Nina ricordando il titolo del romanzo di Nina Berberova.

Ma rinuncia anche perché di fronte a queste vite, interpretando un pensiero del professore, sa che “gli studi letterari sono spesso pretestuosi e inutili”, bisogna riconoscere che “c’è un nucleo vitale – questo avrebbe detto se fosse intervenuta al convegno cechoviano – nel discorso sulla letteratura; tutto sta a non impantanarsi in argomentazioni sofisticate; cogliere e far cogliere quanto un libro sa dire della vita di ognuno e quanto può aggiungervi, attingendo alle infinite possibilità e configurazioni dell’esistenza umana…”.

Ecco, credo che in queste righe stiano il senso del romanzo di Giulia Corsalini e il risultato dell’esperienza di una badante ucraina lettrice di Cechov costretta per sopravvivere a lasciare la figlia, ad abbandonare il marito, a non ritrovarlo neppure in punto di morte, a curare le piaghe di una vecchia, a cancellare persino la possibile felicità di un “amore senile”. Le prove della vita, le prove della sofferenza, le passioni, le speranze vive e quelle negate, le paure… L’autenticità giustifica la letteratura, può renderla necessaria.

Giulia Corsalini è brava a condurci a questa verità. Non sto esaltando il suo romanzo, al quale altri potrebbero riconoscere tanti difetti. Ma ci sono pagine (e mi riferisco in particolare a quelle relative alla morte del marito e al dolore della figlia o ancora di più all’incontro-confronto tra Nina e Lyzaveta) che sanno mostrarci quel “nucleo vitale”.